Non sempre un portiere è un portinaio

Ci sono arrivate alcune domande che chiedono se il custode di un palazzo vada indicato come portiere o portinaio e se ci sia una differenza tra i due termini.

Risposta

Capita non di rado che ci pervengano quesiti relativi ai nomi di professione, che si presentano spesso, ancora oggi, diversi da regione a regione, nonostante le indubbie spinte “omologanti” (usiamo, ma senza particolari connotazioni negative, un termine pasoliniano), a volte favorite da designazioni burocratiche e sindacali entrate in circolazione in anni relativamente recenti e ritenute “politicamente corrette”: si pensi alla qualifica di operatori ecologici ‘addetti alla raccolta di rifiuti, alla pulizia delle strade, ecc.’ (GRADIT), che ha almeno in parte sostituito i termini regionali di spazzini, scopini, netturbini, ma anche mondezza(r)i, ecc. Questo settore del lessico è infatti uno dei più soggetti alla cosiddetta geosinonimia, cioè alla coesistenza, nelle diverse aree della nostra penisola e delle isole maggiori, di termini equivalenti sul piano del significato, ma diversi nel significante, spesso appartenenti ai dialetti soggiacenti e trasferiti all’italiano regionale.

A volte la differenza tra una designazione e l’altra è di tipo lessicale (è il caso delle diverse designazioni dell’idraulico: lattoniere, fontanieretrombaio), a volte la variazione si limita al suffisso (per restare nello stesso mestiere: stagnino e stagnaio o stagnaro; ma si vedano anche le risposte di Riccardo Cimaglia sulle coppie fioraio/fiorista e gelatiere/gelataio, e quella di Miriam Di Carlo sull’alternativa tra verduriere/verduraio/verdumaio), a volte nella preferenza, nella formazione della parola dalla medesima base o comunque da basi appartenenti alla stessa famiglia lessicale, per la composizione invece che per la derivazione: si pensi a falegname, voce di provenienza romana, rispetto a legnai(u)olo, antica voce Toscana, che peraltro oggi indica piuttosto il taglialegna, altro composto, o il venditore di legna da ardere.

Anche nel caso in questione, accanto ai termini indicati dai nostri lettori, dei quali tratteremo tra poco, si segnala la presenza di guardaporta, diffuso al Sud e in particolare a Napoli, dove la sua diffusione sarà stata favorita dalla corrispondenza col francese garde-porte. Questo termine è registrato nel GRADIT, che lo etichetta come meridionale e lo data al 1880 (1842 è invece la data dello ZINGARELLI 2018); Google Libri ci consente tuttavia di appurare che figura già in una lista, accanto a usciere, custode del palazzo, servente, nella Collezione delle Leggi e de’ Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie, del 1824 (anteriore è guardaportone, datato 1725 in entrambi i dizionari citati, che indica però il ‘portiere in livrea di palazzi signorili, di grandi teatri e di pubblici edifici in genere’). Visto che abbiamo citato usciere, va detto che il GRADIT, accanto al primo significato del termine (‘negli uffici pubblici o privati, impiegato d’ordine che sta nell’anticamera o nel corridoio per dare  informazioni, accompagnare o indirizzare i visitatori’) dà anche quello esteso (se pure con l’etichetta di “basso uso”) di ‘portiere, portinaio’ e, ancora, di ‘ufficiale giudiziario’, accezione propria del linguaggio burocratico, a dimostrazione del fatto che, oltre alla geosinonimia, nei nomi di professione entra in gioco anche la polisemia (o, in altri casi, la geo-omonimia).

Ma torniamo alla coppia portinaio/portiere, di cui sono frequentissimi pure i femminili portinaia e portiera, documentati anche in passato visto che le mansioni proprie di questo mestiere non sono tradizionalmente riservate solo a maschi. Nei termini (attestati entrambi già nell’italiano antico, come documenta il corpus dell’OVI), è facile individuare due tra i nostri suffissi più produttivi per formare nomi di mestiere, entrambi derivati dal lat. -arium: -aio, esito tipico dell’italiano di base fiorentina (a cui in molte zone d’Italia corrisponde -aro), che è forse il più usato, per queste formazioni, nella storia linguistica italiana prima del successo di -ista, e -iere, entrato e divenuto anch’esso produttivo nella nostra lingua grazie alla mediazione del francese -ier.

In realtà, però, portinaio non è formato da porta + -ino + -aio (cioè con una doppia suffissazione, come è avvenuto per coltellinaio ‘venditore di coltelli’) né tantomeno dal diminutivo portina + -aio, ma ha alla base il lat. medievale portinarium: così per DISC, GRADIT, ZINGARELLI 2018, L’Etimologico, ecc., che datano la parola italiana agli inizi del Trecento. Il DELI invece considera le forme latino-medievali portonarius (Bologna, 1175) e portenarius (Vicenza, 1264) come prime attestazioni del termine italiano (latinizzato). La presenza, nella Firenze del sec. XIII, della famiglia Portinari (a cui apparteneva la Beatrice dantesca) documenta che la parola è certamente assai antica. Sul piano areale, portinaio – che indica anche, con valore aggettivale, il religioso che ha l’incarico di sorvegliare la porta di un convento – è oggi particolarmente diffuso in area settentrionale, grazie al supporto del dialetto (cfr. il milanese portinar); secondo il GRADIT indica specialmente il portiere di abitazioni private, mentre per il Devoto-Oli ha un “senso limitante e dimesso nei confronti di portiere”; ciò spiega perché il femminile portinaia può assumere anche il significato spregiativo (che il GRADIT registra come “stereotipo” maschilista) di ‘donna pettegola e impicciona’.

Al termine portinaio si collega portineria, che indica ‘il locale posto all’ingresso di edifici, in cui abita o svolge le sue funzioni il portiere’, Il rapporto di derivazione tra portinaio e portineria non è chiarissimo: c’è chi ha ipotizzato la “sottrazione” del suffisso agentivo (portin(aio)eria), ma forse è più probabile ipotizzare una formazione dialettale adattata all’italiano: il GRADIT cita infatti il lombardo portinaria da portinar. L’origine lombarda è confermata dalle prime attestazioni della voce, datata nel GRADIT e nello ZINGARELLI 2018 al 1866 (in Carlo Dossi, proprio nella forma locale portinaria), ma che Google Libri ci documenta già nel 1859 (in Un episodio del carnevale di Milano. Scene della vita contemporanea di Emilia Cucchiani, dove figura già la forma con -er-, che poi si ritrova nell’atto unico di Giovanni Verga In portineria, del 1885, non a caso ambientato a Milano). Possiamo notare che di portineria si parla anche a proposito di edifici pubblici, come scuole e università (dove peraltro, di recente, il termine è stato a volte sostituito dall’anglicismo control room).

Anche portiere, datato nel GRADIT all’inizio del Trecento, anziché un derivato da porta, potrebbe essere un prestito, dal francese portier, documentato già nel sec. XII. Ma anche la data della parola italiana può essere anticipata (come fa lo ZINGARELLI 2018) al 1268 grazie al corpus dell’OVI, che fornisce un esempio del plurale portieri, in senso figurato, in Andrea da Grosseto. In ogni caso, secondo il GRADIT il termine – a parte il significato storico di ‘gabelliere addetto alla riscossione dei dazi alle porte di una città’ e l’accezione sportiva di ‘giocatore che difende la porta dagli attacchi degli avversari, cercando di evitare che la palla entri in rete’ – indica sia ‘chi ha l’incarico di custodia e, talvolta, di pulizia di uno stabile adibito ad abitazione’ (al riguardo, viene in mente la frase che pronuncia Mimì nel terzo atto della Bohème di Puccini, mentre dà l’addio a Rodolfo: “Involgi tutto quanto in un grembiale, / manderò il portiere”), significato esattamente corrispondente a quello di portinaio, sia anche ‘chi, in edifici pubblici, ha l’incarico di custodia e di sorveglianza’ (portiere di un ministeroportiere d’albergoportiere di notte, contesti in cui portinaio non si potrebbe usare).

Come a portinaio corrisponde portineria, così da portiere deriva portieria (per il GRADIT da porti(ere) + -eria, dunque con aplografia di -er-), che però, secondo lo stesso dizionario (che la data 1899), è parola di “basso uso”; non bisogna confondere portieria con il termine più antico (av. 1603: GRADIT e ZINGARELLI 2018) porteria (derivato di porta), che indica la ‘portineria di conventi, collegi e sim., che funge anche da sala d’attesa per i visitatori’).

Molto più diffuso è il derivato portierato, termine datato 1950 nel GRADIT e 1943 nello ZINGARELLI 2018, che in realtà è documentato, stando a Google Libri, già ai primi del Novecento (“la Commissione centrale ritenne che l’avere omesso di detrarre le spese di portierato, acqua ed illuminazione nel determinare l’ammontare del reddito di un fabbricato, non costituisce motivo per ottenere la rettificazione del reddito stesso”, in “Il Foro italiano. Raccolta generale di giurisprudenza civile, commerciale, penale, amministrativa”, 1906) e ha poi numerose attestazioni negli anni Venti e soprattutto Trenta. Secondo il GRADIT per portierato si intende la ‘mansione di portiere di uno stabile’ (contratto di portierato) oppure lo ‘stipendio corrisposto a un portiere’ (la marca di “basso uso” è assegnata all’accezione di ‘portineria’). Dunque, come la portineria può essere anche il locale dove opera un portiere, il portierato può riferirsi anche al servizio svolto da un portinaio.

In definitiva, sulla base di quanto esposto, si può dire che le forme portiere e portiera sono quelle che si possono usare con maggiore tranquillità, in tutte le occasioni e in tutti in contesti, laddove portinaio e portinaia hanno àmbiti d’uso un po’ più ristretti e potrebbero dare a qualcuno un sentore di regionalità o comunque riferirsi al mestiere in senso connotativo e non denotativo. Tuttavia, soprattutto a nord, portinaio resiste, forse grazie al supporto di portineria, o forse per differenziare questo portiere dal giocatore che, nel calcio, porta la maglia numero 1.

 

Per approfondimenti:

  • Paolo D’Achille, Maria Grossmann, I nomi dei mestieri in italiano tra diacronia e sincronia, in Idd. (a cura di), Per la storia della formazione delle parole in italiano: un nuovo corpus in rete  (MIDIA) e nuove prospettive di studio, Firenze, Franco Cesati, 2017, pp. 145-182.
  • Maria Grossmann, Franz Rainer (a cura di), La formazione delle parole in italiano, Niemeyer, Tübingen, 2004.

 

Paolo D’Achille

 

Piazza delle lingue: La variazione linguistica

13 marzo 2018


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