Mi dispiace

Molte persone ci fanno domande intorno ai verbi spiacere e dispiacere: "è più corretto mi spiace o mi dispiace? C'è qualche differenza?"; "è preferibile dispiaciuto o spiacente?"; "si deve dire mi dispiace o mi dispiaccio?"; "la notizia lo ha fatto dispiacere o gli ha fatto dispiacere?"

Risposta

Dedicata a un amico disperato,
Perché il conforto a volte trova posto nei luoghi più impensati
E allora in ogni luogo bisogna almeno tentare
La redazione

 

Mi dispiace

 

Intorno a dispiacere e spiacere sono fioccate le domande. Eliminiamone subito una: quella se si dice mi dispiace o mi dispiaccio: mi dispiaccio, costrutto personale in cui soggetto e complemento coincidono, significa “non piaccio a me”, “sono insoddisfatto di me” (oggi si direbbe meglio: non mi piaccio) ed è sbagliato usarlo, come pure accade, nel significato di mi dispiace di/per qualcosa ‘mi rammarico, mi rincresce ecc.’. Infatti, mi dispiace, impersonale, in cui il soggetto di dispiacere è diverso da quello espresso dal pronome, e in genere è una frase soggettiva o un verbo, ha il senso che qui ci interessa di “mi dà rammarico, rincrescimento”. Dunque “mi dispiaccio” e “mi dispiace” sono due forme diverse, con due significati diversi, non concorrenti; l'una rara, l'altra comune. Nell'uso si fanno però (e da tempo) concorrenza in formule conclusive, tipo: “me ne dispiace” (corretto)  e “me ne dispiaccio” (substandard). Qualcosa  sarebbe da dire anche su “si dispiace” che può valere tanto (ma raramente) nel costrutto personale “(lui) non si piace” (si = a sé stesso) quanto nel più comune  impersonale “(lui) si rammarica di...”.

E veniamo invece al dilemma più agitato, se dispiace o spiace. In italiano non son poche le parole, specie verbi, in cui i prefissi s- e dis- si fanno concorrenza negli stessi valori, sia in quello negativo, prevalente: sviare e disviare, staccare e distaccare (che nascono da attaccare), stendere e distendere, smettere e dismettere (con senso un po' diverso), smembrare e dismembrare, sdegnare e disdegnare, ecc.; sia in quello intensivo, come in scacciare e discacciare. In genere la forma con dis- è più letteraria e rara (sgombrare/disgombrare, scoprire/discoprire), e la si trova in scrittori ad alto tasso di espressività come Dante o Montale. Ma spiacere e dispiacere hanno avuto una storia parallela e pienamente intercambiabile è il loro uso, almeno nei modi finiti del verbo. In quelli infiniti (rispondo così ad altra domanda) non coincidono precisamente e spiacente vale dispiaciuto, perché il participio passato dell'uno e quello presente dell'altro sono poco usati (non si dice quasi mai “sono spiaciuto” né “sono dispiacente”, ma “sono spiacente” o “sono dispiaciuto”). In passato, in Dante e a lungo in letteratura, spiacente e dispiacente valevano anche ‘increscioso, che dà pena, fastidio’, non solo, come oggi, ‘che prova rammarico, rincrescimento’. Per lo stesso motivo di cui sopra, in forma perifrastica essere spiacente è forma corretta che equivale al presente mi dispiace o all'analogo perifrastico sono dispiaciuto. Tra siamo spiacenti e ci dispiace non c'è insomma differenza di senso; la prima è solo una scelta un po' più sostenuta e formale, ma la seconda non è certo né erronea né rozza. Mi spiace è comunque meno frequente di mi dispiace: basta controllare su Google. Sono due sinonimi, in questo significato, pienamente compatibili. Del resto, il passaggio dal significato di “non piacere” a quello di “provare rammarico, fastidio” è facile e si trova già in certi usi che Dante fa di spiacere («ché perder tempo a chi più sa più spiace» Purg. iii 78) ed è già chiaro in quello di dispiacere («O figliuol mio, non ti dispiaccia/ se Brunetto Latini un poco teco/ ritorna n' dietro» Inf. xv 31-33, «Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci» Inf.  xxiii, 128 e cfr. anche Pd iv 61).

Alla domanda se "la notizia lo ha fatto dispiacere" equivale a "la notizia gli ha fatto dispiacere" bisogna rispondere che sono... due dispiaceri diversi: nel primo è un verbo dipendente da fare causativo, per cui l'oggetto di fare diventa soggetto di dispiacere; nel secondo è un sostantivo (sia pure derivato dal verbo) e dipende da fare (in un suo tipico costrutto di verbo supporto) come argomento diretto, e l'argomento indiretto occorre perché fare in questo costrutto ha due reggenze: fare qualcosa (il dispiacere) a qualcuno (gli).

 

Vittorio Coletti

 

3 dicembre 2015


Agenda eventi

  Evento di Crusca

  Collaborazione di Crusca

  Evento esterno


Avvisi

Chiusura dell'Accademia

Avviso da Crusca

L'Accademia della Crusca resterà chiusa il 26 aprile 2024.

Vai alla sezione

Notizie dall'Accademia

Italiano e inglese nei corsi universitari: la lettera aperta del Presidente dell'Accademia al Rettore dell’Alma Mater Studiorum e alla Ministra dell’Università

23 feb 2024

Giornata Internazionale della lingua madre: il contributo video del presidente dell'Accademia Paolo D'Achille

21 feb 2024

"Sao ko kelle terre... Piccola storia della lingua italiana": la Compagnia delle Seggiole in scena alla Villa medicea di Castello con uno spettacolo dedicato alla storia dell'italiano

25 gen 2024

Il restauro degli infissi dell'Accademia per il concorso Art Bonus 2024

25 gen 2024

Scomparso l'Accademico Angelo Stella

15 dic 2023

Corso di formazione per insegnanti Le parole dell’italiano: idee e pratiche efficaci per insegnare e apprendere il lessico

15 nov 2023

25 ottobre 2023: il Collegio della Crusca nomina 10 nuovi accademici

27 ott 2023

Aspettando la Piazza delle lingue: quattro incontri all'Accademia della Crusca

05 ott 2023

Vai alla sezione