La letteratura a scuola, oggi

di Vittorio Coletti

L'accademico Vittorio Coletti invita a confrontarsi sul problema della didattica della letteratura e della lingua, prendendo spunto da una recente affermazione della scrittrice Susanna Tamaro.


L’affermazione di Susanna Tamaro, secondo cui a scuola bisognerebbe leggere gli scrittori contemporanei e lasciar stare i noiosi classici, ha suscitato scalpore sui media, sconcerto tra insegnanti e studiosi (la Presidente e il Vicepresidente della Fondazione Verga hanno prontamente replicato), ma anche una discussione che forse ne riscatta il dubbio gusto di base. La riprendiamo dalla nostra Accademia, dove l’attenzione alla letteratura va, più che altrove, collegata a quella per la lingua. 

Da questa prospettiva, l’attenzione ai nostri classici non è solo giustificata dal loro valore letterario e dalla loro rinomanza internazionale, ma anche dal filo di continuità con cui nei secoli essi hanno costruito l’italiano ben prima che la politica facesse l’Italia. A tacere della stoltezza che mostrerebbe la scuola italiana trascurando i grandi autori del passato, come Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Machiavelli, Guicciardini, Tasso, Goldoni, Foscolo, Manzoni, Leopardi, Verga, che sono da tempo “scrittori mondo”, punti stabili del canone internazionale delle lettere, resterebbe l’insensatezza di una cultura che spezzasse il legame con la propria storia e con una tradizione di linguaggio che ha formato, anticipato la comunità nazionale organizzata e ha dato voce e rinomanza planetaria al Paese in cui viviamo. 

Ma Tamaro ha sostenuto che i giovani hanno bisogno di contemporaneità, di attualità, di trovare anche in letteratura le sensibilità e i problemi loro e del presente. C’è un’esigenza giusta in questa richiesta, ma anche un grossolano errore, da secoli confutato, che consiste nel credere che l’attualità artistica sia rappresentata solo dall’arte contemporanea e non capire che il tasso di modernità è proporzionale al valore dell’opera, alla sua resistenza al tempo, tant’è vero che oggi le tragedie greche (pur di altra lingua e di ben maggiore antichità) sono comunemente usate e studiate da storici e giuristi per affrontare problemi politici e giuridici strettamente attuali, e i recenti anniversari di Dante e Manzoni hanno mostrato la vitalità del loro insegnamento per la conoscenza e la critica del carattere degli italiani e per un ripensamento della concreta dimensione umana al tempo della sua temuta evaporazione nell’universo virtuale. Gli interventi del Presidente della Repubblica, al riguardo, sono stati emblematici. Il riferimento specifico di Susanna Tamaro a Verga è stato particolarmente ingiusto e sbagliato: lei si sarà pure annoiata leggendo i Malavoglia, ma credo che sia un problema suo, perché si tratta, per riconoscimento universale, di un romanzo che sta tra i grandi capolavori della narrativa europea dell’Ottocento: una straordinaria invenzione linguistica, tra il poetico e il realistico, ritratto epico e tragico di un’Italia umile e onesta, che ha cercato di affermarsi con la fatica del lavoro e ha trovato nello Stato un potere lontano e sordo. L’attualità del capolavoro verghiano resta fortissima, anche se i poveri non commerciano più nei lupini e sono emigrati all’estero.

Naturalmente, la letteratura italiana conta anche grandi autori del nostro tempo. Il Novecento ne ha avuti alcuni all’altezza dei maggiori più antichi, come Svevo, Calvino, Primo Levi, Montale, Caproni, Gadda, Pasolini, e Tamaro ha ragione se lamenta una troppo scarsa attenzione della scuola alla letteratura più recente. Questo è certamente un limite del nostro sistema scolastico, che, invece di percorrere il passato passando solo per le principali vette, e dedicare parecchio tempo anche al presente (o al passato prossimo), si attarda su percorsi e autori antichi meno rilevanti, arrivando tardi o poco a quelli contemporanei. Il solido, tradizionale binomio scolastico di storia e testi consentirebbe di unire la sintesi dei secoli con la selezione dei testi. Purtroppo, oggi non è più usato. Ma anche la letteratura contemporanea ha il suo canone, la sua gerarchia di valori, ed è fatta di autori maggiori (da studiare) e minori (spesso da dimenticare). La prospettiva linguistica serve bene a fare una cernita nella sua foltissima produzione. 

Come si sa, la letteratura (narrativa e in versi) è il luogo in cui una lingua si manifesta nella sua forma più consapevole e personalizzata, dotata, cioè, di uno stile. Lo stile è un tratto differenziale soggettivo, ma anche un elemento linguistico oggettivo, percepibile, misurato dal lettore, per cui, se uno ha uno stile anonimo o sciatto o impersonale o impalpabile, si dice, giustamente, che non ha uno stile e il lettore non lo vede. La personalità stilistica non significa, però, solo stravaganza o originalità linguistica più o meno vertiginosa, che pure sono possibili e spesso auspicabili in letteratura, quasi necessarie in poesia (Ungaretti, Montale), gradevoli in prosa (Camilleri), a volte mirabili (Fenoglio, Gadda, Pasolini). Significa anche un perfetto controllo della lingua, il suo uso per dire ciò che si vuole nel modo più semplice e preciso possibile, un dosaggio accurato e limpido delle parole (Calvino, Levi, Sciascia, Caproni). Ma uno stile, alto o basso, dosato o esuberante, non si dà senza idee, senza ragioni forti per cercarlo, senza una passione intensa per comunicarle. 

Ora, il vero guaio della letteratura del nuovo secolo sta proprio nell’assenza di uno stile, nell’adozione di una lingua senza qualità perché banale, povera di idee, o, all’opposto, molto esibizionistica, più impegnata a sfoggiare la propria estrosità che a esprimere idee. Non è il caso di fare nomi. Lo stile zero (che non è quello semplice, ma quello assente) lascia vedere una lingua gremita di stereotipi, luoghi comuni, frasi fatte oppure segnata da un narcisismo verbale che parla troppo e sopra le righe per le povere cose che ha da dire. L’esatto contrario di quello che servirebbe a un giovane, cui si propone, attraverso la letteratura, un approccio più meditato, autentico e originale alla realtà. Questo limite riguarda soprattutto la nostra narrativa, dove, dopo Calvino, Levi e Sciascia e tolti pochi autori di particolare pregio, l’offerta più recente non è purtroppo quasi mai all’altezza di quella di altre culture coeve (anche quella, vicinissima, francese), nelle quali, forse, latitano come da noi i capolavori, ma la media è alta e di grande valore intellettuale e linguistico, attestato dal grande successo delle traduzioni. Le cose, in Italia, vanno meglio in poesia, che ha ritrovato nel XXI secolo la responsabilità della parola e non si compiace più della propria impoeticità, di un’esibita sciatteria, come nel tardo Novecento, ma scava liberamente e altamente nella lingua per dire qualcosa che sempre e dolorosamente sfugge.

Perciò, quando suggerisce di sostituire i contemporanei con i classici, Tamaro dovrebbe nominare, più che sé stessa, gli scrittori del grande stile novecentesco, sui quali è giusto richiamare maggiore attenzione. Ma non a scapito dei grandissimi del nostro passato, che sono i protagonisti della galleria planetaria dei letterati e sarebbe bene che gli stessi scrittori oggi leggessero di più, per farsi anche loro uno stile. 

C’è, infine, una potente ragione pedagogica a far risultare discutibili le affermazioni di Susanna Tamaro: l’idea della scuola e della letteratura come doppio o specchio del presente. Il ruolo della scuola, invece, non è quello di rispecchiare o di annullare le differenze tra i giovani e il loro mondo, ma di aiutarli a capirle, a misurarle con linguaggi diversi, più ricchi o più precisi del loro, come, appunto, quelli della letteratura. La letteratura, da parte sua, aiuta il lettore a capire il proprio tempo non solo quando gli è cronologicamente contemporanea, ma anche e soprattutto quando gli fornisce mezzi potenti e di lunga durata, testati da decenni o secoli di attenzione e consenso, per capirlo da solo. Letteratura e scuola non sono luoghi in cui si deve riflettere la realtà circostante, già troppo misera di suo per auspicarne dei duplicati, ma quelli in cui si riflette su di essa e si cerca di capirla, di rapportarsi consapevolmente ad essa e, quando possibile, di migliorarla.

Redazione
30 giugno 2023 - 00:00

Commento conclusivo di Vittorio Coletti

Come accade quando si trattano argomenti al contempo complessi e polemici, questo tema del mese ha suscitato nei lettori più una saggistica parallela che una discussione vera e propria. Nel chiuderlo, perciò, mi limito a ribadire tre linee essenziali del discorso, che era partito dalle discutibili affermazioni di Susanna Tamaro sull’uso dei classici a scuola (invero dalla stessa poi, in parte, ragionevolmente corrette e integrate).

Primo. La misura dell’attualità di un’opera andrebbe fatta sulla base della sua qualità, del valore artistico, oltre che su quella della sua datazione. Secondo. La scuola non dovrebbe trascurare la contemporaneità letteraria, pur essendo consapevole che il suo compito non è rispecchiare il presente ma fornire gli strumenti (tra cui i classici) per capirlo. Non è quindi sbagliato lamentare la trascuratezza scolastica degli autori moderni. Il problema è, però (terzo), che la letteratura italiana (specie nella narrativa) ha smesso di offrire autori e testi di grande rilievo internazionale con la fine del vecchio secolo, fortunatamente gremito di autori già classici. Nel nuovo, è ancora in attesa di opere di personalità stilistica e qualità umana davvero meritevoli di meditata attenzione scolastica. È un peccato, purtroppo, tanto più che le cose non stanno così per molte altre lingue letterarie, in cui scrivono oggi narratori di grande valore e meritata fama.

Per chi desiderasse una maggiore documentazione a sostegno di quest’ultima osservazione mi permetto di rimandare alla parte quarta della nuova edizione della mia Storia dell’italiano letterario (Einaudi 2022).

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
29 giugno 2023 - 00:00
Perché leggere Verga? perché i classici? ecco, già nella domanda è implicito il problema della flebile ricezione del nostro canone da parte delle nuove generazioni. Sino all'avvento del positivismo, fatto prorio dalle elite culturali che fecero l'unità, una lettura di autori canonici che non fosse immediatamente produttiva non era concepibile; la lettura era "utile", e gli autori consigliati dovevano, secondo il Parini, soddisfare a tre esigenze di acquisizione da parte del discente: proprietà di linguaggio, potenza espressiva e conoscenza di cose morali e scientifiche. Si leggeva Plinio per sapere tante cose della natura. Ma nello stesso tempo si imparava il latino! Oggi nessun ministro propone un canone di autori da Dante a Primo Levi sulla base di tutte e tre i requisiti, ma solo di quello relativo ai contenuti morali (per quelli scientifici si richiede l'aiuto di altre discipline, staccatesi dalla letteratura a fini d'arte). Un tempo, ad esempio, lo storico pur nella ricerca del vero si preoccupava di narrare gli eventi in acconcia prosa; così il naturalista o l'urbanista. È del tutto evidente che a Petrarca o della Casa non si attinge più per formare il proprio stile e i giovani, se lasciati liberi, leggono solo quegli autori che in un Italiano a loro comprensibile (una lingua della loro "classe", visto che parliamo di classici) raccontino il mondo di oggi. E, si dirà, la scuola che ci sta a fare? Essa ha l'obbligo innanzi tutto di fornire all'allievo le basi tecniche necessarie a saper scrivere; a queste deve affiancare la lettura esemplare di autori modello, che, nel mutare repentino della lingua parlata, caratterizzato da un abbassamento di tono, dall'immissione di linguaggi specialistici, dall'irruzione di espressioni giornalistiche, di slogan, di traduzioni di telefilm, che in questo mutare non possono che essere usati con parsimonia, come sempre si è fatto, pescando qua e là, eliminando "il rancidume", insegnando al dominio della sintassi, alla ricchezza del lessico poetico e della prosa, al culto della forma e dell'eleganza. Insistere solo sui contenuti "europei" dei nostri capolavori significa perdere tempo inascoltati. Occorre formare scrittori consapevoli, non lettori della domenica. E imporre Verga solo se la sua prosa può venir adoperata in parte dalle nuove generazioni.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
23 giugno 2023 - 00:00
Vorrei aggiungere una chiusa, suggerita dalla continua riflessione sul tema proposto. Intanto constato che i nostri Accademici sono preoccupati di proporre canoni dei classici ITALIANI che abbiano un positivo riscontro in EUROPA. Segno questo che già di fatto essi hanno superato il problema della barriera linguistica, mettendo in primo piano i contenuti delle opere, la loro significatività per il lettore universale. La questione successiva, ovvero PERCHÉ leggere un classico, ha nella preoccupazione sopradetta una risposta: perché il classico rivela a noi stessi, in una forma adeguata, da dove veniamo, cosa siamo, quale futuro progettare ecc. ecc..,rivela cioè la nostra identità passata presente e futura. Solleva problemi sull'uomo e la società eterni e sempre attuali, e lo fa con mezzi espressivi potenti ed efficaci, quali solo un classico può dare. Ma siamo sicuri che ciò basti ad assicurare all'auctor lunga vita? nel Medioevo e ancor più nell'epoca moderna gli auctores erano certamente modelli di sapienza e virtù, ma soprattutto esempi di stile, in conformità con le indicazioni, anzi le regole di Aristotele (a partire dalla sua diffusione in Italia) Orazio Quintiliano. E poi di Bembo. Quando il Vogel suggerisce al Leopardi imberbe di tradurre Orazio cosa fa se non dotarlo di strumenti ben più potenti della semplice "lettura"? E allora, finiamola di giudicare trame, plot e personaggi, piantiamola con questi gialli e polizieschi che hanno stancato, basta con l'attenzione ai soli contenuti, stronchiamo il predominio del romanzo, se non dell'orrido ROMANCE, riportiamo in primo piano lo studio serio, duro, selettivo dei generi letterari, della poesia in primo piano, con la metrica, ridiamo dignità alla politica e allo studio della retorica, alla ricerca del bello scrivere, dell'eleganza, dello splendore della FORMA. Che gli insegnanti tornino a bocciare!

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Luigino Goffi
09 giugno 2023 - 00:00
Come mai, dopo tutte le argomentazioni più che convincenti ostese da sempre a favore dei classici antichi, ancora oggi dobbiamo reiterare per loro quella difesa di cui non dovrebbero avere bisogno? Quando ci sfugge qualcosa per così tanto tempo, non resta che allargare la nostra veduta del problema, neghligendo le possibili obiezioni di ultratematizzazione. Meritano di essere incrociati due dati di fatto. Il primo dato - incredibile a dirsi - è che il Guicciardini aveva bisogno - per capire un passo di Dante - della "chiosa", e non solo per capire la sostanza, ma anche - ed è quello che ci interessa - la lingua. Il secondo dato di fatto inoppugnabile è che nel Novecento poetico si è abbandonato il verso ritmico - accenti nei punti giusti, rime (che sono anch'esse una forma di ritmo) - pel verso libero. Non si è, ovviamente, trattato di un passo indietro - anzi, il verso libero, richiedendo melodia, è più difficile da scrivere - ma la cosa merita una spiegazione. E la spiegazione sta nel fatto che, nel verso ritmico, l'autore è, spesso costretto a invertire il soggetto e il complemento oggetto per poter rispettare il ritmo, e per dar risalto al complemento oggetto, che, non poche volte, è più importante del soggetto stesso. Ma, come si fa, allora, ad individuare il soggetto e il complemento? Il latino, il greco, l'esperanto, il tedesco - quest'ultimo, però, solo pel maschile singolare, li distinguono tramite le desinenze; l'inglese e il francese non invertono mai; l'italiano, invece, invertendo ma non distinguendo, lascia l'individuazione di ciascuno dei due all'interpretazione, facendoci perdete tempo. Molti pensano che ciò sia un bene per lo studente, facendolo ragionare. In realtà si deve ragionare sui grandi temi della filosofia e della scienza - e già ce ne è abbastanza -; far capire se un nome è un soggetto o un complemento è compito della lingua, non dell'insegnante. Diamo da leggere, ad es., la prima stanza giostrale del Poliziano a un discente, e capirà solo al 6° verso di aver letto una sfilza di complementi in luogo dei soggetti che pensava di aver letto. Come si può pensare che i giovani amino i classici antichi se la loro lettura è difficoltosa? La soluzione è, appunto, distinguere formalmente soggetto e complemento, in modo che il lettore li individui subito con certezza. Ovviamente, non possiamo cambiare le desinenze, pena la trasfigurazione in negativo dell'eufonia italiana. La soluzione ce la suggerisce il tedesco nella parola "Stiefel", che - somma coincidenza - significa "stivale". In questa parola la differenza è data non dalla desinenza, ma dall'articolo: "der Stiefel": soggetto, "den Stiefel": complemento oggetto. E, allora, ecco la soluzione per l'italiano: modifichiamo l'articolo col raddoppio fonosintattico pel complemento, e lasciamo tutto com'è pel soggetto (ho trattato questo argomento con ben altro approfondimento nel Tema del Marzo 2019 "Da intransitivo a transitivo: trauma della lingua o dei parlanti?"). In questo modo si capirà subito qual è il soggetto e quale il complemento, e la lettura non sarà pesante. I contenuti influiranno certo, ma il punto è riformare la grammatica.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
09 giugno 2023 - 00:00
Nel tema precedente mi feci portare fuori tema, anzi mi sacrificai per rispondere al Dott. Goffi con le armi del buon senso. Questa volta, preso atto che anche nella lettura di versi poetici al predetto interessi non perdere tempo (ignora che la poesia ha tremendamente bisogno dell'ambiguita' e del ritardo, della sorpresa e del plurisenso) vorrei rivolgermi al prof. Coletti per dire che siamo inondati da studi specialistici provenienti dal mondo Accademico (prolusioni, tesi di dottorato, contributi, atti di convegno, articoli) nei quali il tecnicismo, la vivisezione del singolo verso, la scoperta di chissà che servono a giustificare la fatica, mentre fioche e sempre più esangui sono le edizioni critiche, i commenti, le collane dei classici. La retorica, buttata fuori dalla porta da De Sanctis e Croce, rientra dalla finestra delle analisi linguistiche asfissianti (che tolgono il piacere della scoperta PERSONALE di un testo, anzi si sostituiscono alla lettura, a conferma di quanto lamentava Calvino, per il quale un libro che parla di un libro non dirà mai più del libro in questione) e... della pubblicità. Non si sa perché un pubblicitario studi per applicarle proficuamente le tecniche retoriche e ad un allievo questa fatica venga risparmiata. Il problema è tutto qui: fino a quando non si deciderà di ripristinare nella scuola una versione aggiornata della Ratio Studiorum, che ridia decoro alla scrittura dei nostri giovani, è inutile lamentarsi dello stile poco sorvegliato dei nostri esordienti. Il liceo che ricordo io proponeva il Petronio, che spiegava il contesto sociologico nel quale l'opera andava collocata, non come si doveva scrivere, Pascoli studiò sul Montanari e il Fornaciari, per i quali grammatica e retorica, con relativi esercizi, preparavano alla lettura dei classici. E a superarli. Certo, oggi nessuno legge le lettere del Caro per saper scrivere una mail, male dico io, un po' di rigore non nuoce. A leggere certe porcherie ci si deprime... In sintesi: nei collegi lo studio era tarato sul latino, "la Grammatica" per l'Alighieri, ma lo sforzo veniva premiato dal bagaglio acquisito di nozioni tecniche sufficienti a comprendere un classico italiano, nonché a comporre decentemente nella lingua madre. La retorica, lungi dall'essere cosa brutta e cattiva, era indispensabile, ieri come oggi, a saper argomentare e disporre gli argomenti nel discorso, infine ad abbellire con tropi e figure il dire. Oggi lo studente universitario è oppresso dall'obbligo di sorbirsi analisi linguistiche che si giovano dell'apporto delle discipline scientifiche e statistiche, che, col loro gergo algebrico fanno rimpiangere i commenti e le introduzioni di un tempo (leggere quella umanissima e scoppiettante del Giusti alle poesie e prose del Parini nell'edizione Le Monnier). Forse di lui ne verrà fuori un ricercatore, non certo un poeta.

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Carmen Quadri
03 giugno 2023 - 00:00
La questione dell'insegnamento della letteratura non può essere disgiunto da quello della comprensione linguistica e da quello del ruolo degli insegnanti nell'apprendimento linguistico dei giovani italiani. Finché la questione sarà affrontata dal presunto scrittore di turno con boutade come quelle della sig.ra Tamaro non si affronterà mai la questione: la maggior parte dei ragazzi Italiani non domina la lingua madre, alla fine del percorso di studi non padroneggia l'italiano, né in chiave ricettiva né in chiave produttiva. Da qui la difficoltà a leggere i classici: difficoltà reale perché si tratta di una difficoltà di lettura tout-court, aggravata dalla poca consuetudine con la lettura, seguita dalla discussione, pratiche ormai in via di sparizione anche nei licei. La linguistica moderna offre aiuti per affrontare il problema, certo: anche gli insegnanti dovrebbero avere la voglia e il coraggio di insegnare a leggere.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
05 giugno 2023 - 00:00
Il giudizio della Tamaro è, si badi bene, quello di una scrittrice, e, per quanto drastico e senza appello, è indice di una perdita di autorevolezza del canone dei classici tramandato a scuola. Gli auctores furono sempre studiati come atemporali modelli riconosciuti di scrittura, come i più adatti quindi per formare scrittori; lo studio di grammatica e retorica, sempre in gran conto, era finalizzato a mettere il più presto possibile il discente davanti ai testi esemplari per lingua e contenuti. Era pertanto sui classici che si formava il gusto e la proprietà di linguaggio, applicata all'operazione dello scrivere, in prosa e versi. Ancora Pascoli, in un'intervista, ormai poeta affermato, ricordava con nostalgia e rimpianto i vecchi metodi di insegnamento dei Padri Scolopi, a base di corroboranti esercizi di composizione. Infatti già allora, a cavallo tra Ottocento e Novecento, si cominciava a lamentare uno scadimento degli studi umanistici. Coll'avanzare delle discipline scientifiche e la scolarizzazione crescente, poi divenuta di massa (leggere le istruttive polemiche su Il Marzocco) sempre meno si richiedeva a chi usciva dal Liceo una competenza tecnica scrittoria, sempre più ci si accontentava di una panoramica storico-letteraria di massima e di quelle nozioni sufficienti a comprendere un testo classico, non ad imitarlo o magari superarlo (spariranno gradualmente le versioni dall'italiano, i manuali sostituiranno la lettura diretta, dal '62 il latino defungera' nelle medie inferiori ecc. ecc.). All'interno della comunità di chi usa la penna(sì, mi va di dire la penna) le predilezioni e gli odi sono sempre stati il sale dellla discussione sul canone - ricordarsi Le Lettere Virgiliane - ma la vera questione è che alla scuola non è più demandato il compito di formare scrittori, bensì, nella migliore delle ipotesi, lettori annoiati.
Irene Sborlini
01 giugno 2023 - 00:00
Con la parzialità che un breve commento qui posto riesca a rendere, mi permetto di lasciare ad una riflessione personale più ampia l'iniziale impressione di moto d'invidia (a celare magari un complesso senso d'inferiorità maggiormente inteso) da parte della scrittrice, mentre cedo all'urgenza di ricordare quella che ritengo la sostanziale verità portata dalla summa "historia magistra vitae" di Cicerone, grazie alla quale sento di molto confortato il mio pensiero. Vedo il presente, sia quello scolastico/accademico e sia quello privato, che si arricchisce parallelamente alla misura in cui non faccia perdere il passato e che, anzi, ne alimenti una corroborante memoria storica, poggiando pietre miliari preziosissime per un futuro il quale, si auspica, possa essere più luminoso possibile. Ergo, auguro a mia figlia di nutrire almeno la stessa "sophia" che è stata trasmessa a me per la letteratura classica e che ha ben aperto la strada all'approccio di quella moderna e contemporanea, nonché la possibilità di vederle tutte contemplate -grazie a Maestri mai stanchi di imparare, prima di insegnare- nel suo percorso formativo.

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Flavio Bettanin
01 giugno 2023 - 00:00
Ricordo un ragazza punk, capelli blu a cresta, tatuaggi e piercing, al bancone della biblioteca a restituire proprio Verga, alla quale dissero: 'Duro, eh?' e lei rispose: 'Eh si'...'. Dimentichiamo per un attimo gli Happy Few che (dicono) di avere Verga e Leopardi sul comodino ed entriamo nel mondo reale, popolato da 'sdraiati' sul divano, e riflettiamo se a costoro e' proponibile una trasferta in Nepal a scalare l'Himalaya o non piuttosto, per iniziare, una salutare passeggiata sulle collinette dietro casa. Con la speranza che poco a poco il tono muscolare migliori, e magari poi (l'appetito vien mangiando) si possa prospettare una passeggiata su una vera montagna, e magari poi ancora una ferrata ... E nel tempo libero facciamo loro vedere un documentario sull'Himalaya, e facciamo loro ascoltare la testimonianza di chi ci e' stato, per suggerire che i monti dietro casa non sono gli unici ad esistere e che, volendo, da casa ci si potrebbe anche allontanare per vedere nuovi e diversi panorami. Alla fine, alcuni prenderanno sul serio un volo per il Nepal ... altri andranno sulle Alpi svizzere, o magari in Patagonia o chissa', sul Kilimangiaro (dove neppure noi siamo mai stati): chi puo' dirlo? Della serie: chi ha stabilito che il canone sia quello che noi riteniamo che sia? Per cui: ben vengano le Tamaro, i Baricchi, le Ferrante etc. se possono servire a far alzare dal letto gli 'sdraiati'. Quel che viene dopo e' il vero lavoro, che coinvolge gli 'HappyFew' e li fa uscire dal bozzo. Hoc Opus Hic Labor.

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Pietro Ramellini
01 giugno 2023 - 00:00
Ramellini, P. 2012. Tra etica ed estetica: il potere generativo dei classici. Studia Bioethica, 5(1-2): 20-29. https://riviste.upra.org/index.php/bioethica/article/view/3550/2672.

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LUCA FIOCCHI NICOLAI
31 maggio 2023 - 00:00
Non darei eccessivo clamore alle parole della Tamaro; si sa, gli scrittori esprimono apertamente le loro idiosincrasie e la storia ce ne dà gli esempi. Ma essi non necessariamente sono buoni critici o pedagoghi. Proprio perché ogni scrittore ha il suo stile, frutto prima di emulazione, in seguito di selezione di personali modelli, che ne escludono altri, anzi, proprio perché ha la sua poetica, per contrapposizione potrà dare giudizi impietosi verso quelli che egli vedrà come antimodelli per eccellenza. Se non dei rivali (Pascoli vs. D'Annunzio). Il Prof. Coletti ci propone senza titubanza il suo canone, che in una certa armonia, non totale del resto, con le indicazioni ministeriali sul Liceo Classico escludono recisamente certo Della Casa, Guarini, Marino, ma anche, incredibilmente, Parini (come Anselmi-Chines) Alfieri e Carducci, non menzionano (per brevità immagino) Pascoli e d'Annunzio, sacrificano Pavese (cui Sapegno preferì appunto Fenoglio, e con lui conveni' all'ultimo Segre) e Vittorini, Moravia (come Ossola) e Morante (come Contini). Manganelli non c'è, forse per aver affermato il primato di letterarieta', artificiosita' e falsità (ispiratrici della Fondazione Bembo) sui contenuti. Come si vede il canone ESCLUDE. La Tamaro odia Verga, Pasolini riteneva stupidi Tommaseo (il grande Tommaseo) e Carducci, Fontanini "odiava" Muratori, Maffei odiava Fontanini ecc. ecc.. Chi decide quali modelli di scrittura proporre a scuola? ma il lettore, ovviamente. Perché la Crestomazia del Leopardi non fu gradita? perché invece degli Esempi di bello scrivere del Fornaciari (padre e figlio) sono attestate decine di edizioni? L'editore o il direttore di una collana propone una novità (Garzanti Pasolini, Calvino la Ceresa) poi le generazioni di lettori stabiliscono che Pasolini dice loro qualcosa, meglio spiega il mondo, la mutazione antropologica, ecc. e la Ceresa meno. La scuola è responsabile verso le nuove generazioni, da cui si formeranno le classi dirigenti del Paese. Perché un autore contemporaneo diventi un classico, possa fungere da modello, possa essere presentato agli allievi come auctor, eccellente, esemplare per la scrittura e per i contenuti, deve passare le forche caudine delle riedizioni. Occorre valutare la sua resistenza nel tempo. Ci sarà un motivo se il volgarizzamento della Poetica proposto dal Segni abbia immediatamente e per sempre lasciato il posto a quello del Castelvetro, rievendo nuova attenzione erudita solo cinque secoli dopo?

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Loredana Mascia
31 maggio 2023 - 00:00
L'articolo del prof. Coletti sul tema " La letteratura a scuola oggi", è molto interessante e offre degli spunti di riflessione importanti.

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Chiara Pierini
31 maggio 2023 - 00:00
Mi preoccupa e rattrista di più l'assenza nei programmi di studio, oltre che in questo articolo, per il resto di buon senso, di (grandi) scrittrici, che progetti come "Mis(S)conosciute" cercano di sottrarre all'invisibilità o alla sottoesposizione. Che ne è di Grazia Deledda, Lalla Romano, Antonia Pozzi, Lorenza Mazzetti, Goliarda Sapienza e di tutte le altre? Non è monco uno studio della letteratura che riconosce e celebra Pasolini ma non Anna Banti?

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Maria zioni
31 maggio 2023 - 00:00
Gentile professore, il suo articolo mi ha scaldato il cuore. Grazie, e grazie ancora

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Flavio Bettanin
31 maggio 2023 - 00:00
Il tema mi pare molto semplice e didatticamente assai noto: a chi non è mai stato in montagna e conosce forse solo di nome l’Everest e il K2, non è direttamente e immediatamente proponibile un viaggio in Nepal per scalarli. Si comincia con le gitarelle sulle colline dietro casa, poi si passa a qualche piccola e impegnativa passeggiata in montagna, poi una piccola ferrata, stando tutti assieme, e poi e poi… magari si fa vedere un bel documentario, o ascoltare la testimonianza di uno scalatore che ha scalato il K2. Magari poi qualcuno si fermerà al livello di uditore di racconti e magari alcuni davvero prenderanno l’aereo per il Nepal…. Però probabilmente tutti avranno imparato ad apprezzare le salutari passeggiate all’aria aperta. Che è in sostanza il fine collettivo maggiormente auspicabile. Per cui tra i molti che rimangono sul divano e i pochissimi che scalano il K2 preferisco i ‘tutti’ che di ritrovano all’aria aperta. Si può e si deve partire dalla Tamaro (o dal Baricco, o dalla Ferrante …) di turno per arrivare a Verga & C. Non vi sono altre strade. E poi parliamoci chiaro e fuori da facili ipocrisie: chi ha mai letto Verga fuori da qualche pagina alle Superiori? Quanti lo tengono sul comodino (e idem per il solito Leopardi etc.)? Siamo anche noi innamorati ‘per udita’ e il K2 non lo abbiamo mai scalato….

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Risposta
scarponi
13 giugno 2023 - 00:00
Sono d'accordo con Lei. A parer mio, bisogna partire dalla contemporaneità per capire i classici. Le letture classiche sono importanti perché sono contenuti di valore che hanno influenzato e influenzano ciò che siamo oggi. Di conseguenza, lo studio dei classici aumenta la nostra capacità di comprensione del presente e arricchisce le capacità espressive dei futuri cittadini. Tuttavia gli alunni hanno bisogno di sperimentare attivamente il perché è importante studiare i classici ; e uno dei modi per farlo è partire dallo studio degli autori contemporanei. Inoltre si dovrebbe ampliare la lettura a campi non letterari come articoli, blog, testi musicali, per partire da ciò che i giovani conoscono per accompagnarli alla comprensione di qualcosa di più profondo, dando così senso e concretezza all'insegnamento, che diventa meno elitario e più inclusivo.
Giuseppe Celano
31 maggio 2023 - 00:00
Gran parte del problema si risolverebbe se si cominciasse a riconoscere la musica italiana come parte della letteratura e questa entrasse nei curricula scolastici a pieno titolo, accanto ai classici. Non c’è dubbio che, a parte qualche eccezione, è proprio la musica a rappresentare il meglio della letteratura italiana contemporanea.

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Salvatore Fittipaldi
31 maggio 2023 - 00:00
sulla Tamaro e Verga, la questione non la porrei solo in senso QUALITATIVO, perchè la differenza tra i due è palese... basti solo riferirsi alle frasi corte, secche lapidarie di Verga ... in fondo sono stati i nostri insegnanti di Italiano ad abituarci a fare i PARALLELI tra autori... la questione è anche politica... nel senso che si è imposta una PIEMONTESITA' che per supremazia economica dovrebbe sovrastare sulla SICILIANITA' culturale ( se si possono usare queste parole) ... c'è poi l'aspetto dello studio scolastico degli autori....e anche qui la questione è politica e non solo letteraria, dove la scelta degli autori oggi DOVREBBE ADATTARSI AI TEMPI... lo stesso Dante che si studia a scuola....ma ditemi, che Dante si vuole imparare in una ora settimanale di DIVINA? chiudo dicendo che i programmi scolastici prevedono per esempio Prevert ma non lo sconosciuto RENATO FUCINI... ( per non parlare poi dei nuovi libri nelle Elementari che martellano i bambini a certi determinai 'argomenti'

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