Francesismi e anglismi nei testi giuridici italiani: studio sugli archivi Vocanet-LLI e Normattiva

di Francesco Romano, Elena Tombesi [1]

1. Lingua e diritto

Il lessico giuridico raccoglie un insieme di voci e locuzioni molto eterogenee: oltre ad affidarsi a suoi “tecnicismi specifici” (Garavelli, 2001: 9), condivide vocaboli con il lessico comune e con quello relativo ad altri ambiti del sapere (economico-finanziario, politico, burocratico), attribuendo talvolta alle parole nuovi significati; inoltre, si avvale, nella creazione di nuovi termini, dell’ausilio di altre lingue. I principali procedimenti di costruzione e arricchimento del lessico giuridico sono i seguenti: la traduzione/adattamento, la neologia combinatoria e semantica, il prestito linguistico.

Fin dal XIII secolo, la traduzione dal latino al volgare di statuti comunali, statuti dell’arte[2], formulari notarili[3] e testi di prassi giuridica aveva una specifica finalità: spiegare e far comprendere ai cittadini, ai clienti incolti, che non parlavano né tantomeno leggevano in latino, il contenuto di quegli atti. Tramite i volgarizzamenti di testi in latino, la lingua volgare si è arricchita di tecnicismi giuridici e risemantizzazioni (arte(m)/arte, actione(m)/azione, contractu(m)/contratto, fidei committere/fedecommettere, usus fructu(m)/usufrutto, locatione(m)/ locazione, emphyteusi(m)/enfiteusi, praediāle(m)/prediale, usucapiōne(m)/usucapione, etc.)[4] anche se, in qualche caso, si preferiva non tradurre affatto e mantenere la formula latina, soprattutto davanti a termini o locuzioni altamente lessicalizzate, dal significato tecnico e comunemente usate anche dal volgo, come ci avverte un volgarizzatore di leggi penali genovesi del 1576 (Bambi, 2016: 18). Ancora oggi c’è chi sostiene che la lingua giuridica normativa, per il suo bisogno di conservare una terminologia altamente monoreferenziale e coerente all’uso internazionale, non dovrebbe essere sempre tradotta e nemmeno sarebbe auspicabile creare un neologismo ad hoc per ogni nuovo vocabolo (Sacco, 1992: 41). La principale differenza che intercorre tra l’antica pratica traduttiva che volgeva i testi dal latino al volgare e la più recente attività di traduzione giuridica europea, caratterizzata dalla predilezione di alcune lingue di lavoro (francese, inglese) sulle altre lingue ufficiali (incluso l’italiano), è che nel primo caso «la lingua non diventava comunque lo strumento per introdurre nuove norme, nuovi istituti trasferendoli da un ordinamento ad un altro: per la semplice ragione che qui l’ordinamento era sempre lo stesso, o meglio si stava sempre all’interno di quella pluralità di ordinamenti concorrenti che la dottrina oggi indica col nome di particolarismo giuridico» (Bambi 2016: 16), mentre nel secondo caso, oltre alla lingua diversa, il lessico giuridico deve fare i conti con ordinamenti anche molto diversi tra loro.

Con il bilinguismo giuridico delle origini non si correva il rischio di compiere inesattezze e ambiguità semantiche tra parole e concetti appartenenti a ordinamenti diversi: il vero problema era linguistico e consisteva nel trasportare un certo contenuto dalla lingua latina a quella volgare. Sul finire del Settecento e, per i primi anni dell’Ottocento, il contatto con la lingua francese e con un nuovo modello unitario di fonte normativa, il Code Napoléon (molto diverso dal pluralistico diritto giustinianeo), avevano sì contribuito ad implementare il lessico giuridico italiano, ma lo avevano fatto «allo stesso modo in cui per secoli il volgare aveva assorbito - quasi sempre passivamente - il lessico e la fraseologia della fonte latina» (Bambi, 2016: 24). Oggi il problema traduttivo ha acquisito tutto un altro aspetto, in primo luogo perché il contesto plurilingue europeo è costretto a scontrarsi con ordinamenti giuridici diversi, in secondo luogo perché l’italiano si trova in una situazione di accoglienza di istituti, modelli e contratti commerciali nuovi rispetto al diritto nazionale, che non hanno né una disciplina di riferimento né tantomeno un termine equivalente italiano.               

Insomma, fin dalle origini, il volgare ha saputo sfruttare l’apporto di altre lingue (latino, francese, tedesco) per la creazione di uno specifico lessico giuridico, attraverso il meccanismo della traduzione-adozione di un termine “straniero”: di fatto, non ci si poneva il problema della trasposizione di un concetto giuridico tra una lingua e l’altra poiché l’ordinamento giuridico di riferimento era sempre lo stesso, il diritto romano-germanico all’interno di uno spazio giuridico europeo in cui lo ius commune ha ricoperto un ruolo fondamentale (Grossi, 2002: 56). Uno dei motivi per cui l’influenza oggi esercitata dalla lingua inglese sull’italiano giuridico è diversa rispetto al passato e si manifesta con molti prestiti integrali, è che recepiamo modelli, istituti, contratti “estranei” al diritto romano-germanico (civil law) e affini a quello anglosassone (common law) e questo determina una maggior sensibilità “traduttiva” rispetto a prima (Bambi, 2016: 17). Come vedremo meglio nel paragrafo seguente dedicato all’ingresso di parole “straniere” nei testi giuridici, forestierismi non adattati sono solo occasionalmente attestati dal XIV al XVIII secolo e, quando lo sono, i testi nei quali ricorrono rivelano necessità dovute ad accordi e legami fra lingue e potenze diverse (convenzioni, trattati, concili), discipline giuridiche “straniere” su specifiche materie (es. libro fondiario austriaco), enciclopedie legali relative ad altri Stati. 


2. Uno sguardo al passato attraverso l’archivio giuridico Vocanet-LLI

Per monitorare l’ingresso di parole straniere nella lingua giuridica italiana nel corso dei secoli ci siamo avvalsi dell’archivio unificato Vocanet-LLI[5], una banca dati consultabile sul sito dell’Istituto di Informatica Giuridica e Sistemi Giudiziari del Consiglio Nazionale delle Ricerche[6] contenente un corpus di oltre 900.000 schede immagine tratte da circa duemila testi di legislazione, dottrina e prassi giuridica redatti dal X al XXI secolo (LGI) e la raccolta integrale di oltre 180 testi legislativi italiani (statuti, codici, costituzioni, leggi costituzionali) emanati tra il 1539 e il 2001 (LLI). In particolare, in LGI, una maschera di interrogazione prevista all’interno dell’archivio permette di selezionare una tra le 23 lingue[7] presenti e di estrarre tutti i forestierismi relativi a quella data lingua all’interno delle schede immagine (Romano, Cammelli 2019: 102-105).

L’archivio documenta casi isolati di forestierismi non adattati all’interno di testi giuridici: abbiamo attestazioni di parole spagnole (es. ecclesias frias[8]), tedesche (es. Landrichter[9]), turche (es. bey[10]), inglesi (es. burglary, house breaking[11]). Come è ovvio aspettarci, la maggior quantità di forestierismi non adattati proviene dalla lingua francese, a causa sia della grossa influenza esercitata tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento dal dominio politico, culturale dell’impero francese su gran parte dei territori italiani (Fiorelli 2008: 44), sia dall’effetto esercitato dai prodotti della scienza giuridica francese e dalla codificazione del diritto civile napoleonico (1804)[12]. Nei territori italiani annessi all’impero francese (Piemonte, Parma, Piacenza, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio) il codice, le leggi imperiali e gli altri atti normativi presentavano la doppia versione, francese e italiana. Nei territori del Regno d’Italia, il codice napoleonico redatto in italiano costituiva l’unica versione linguistica facente fede, sebbene il testo riportasse a fronte l’originale francese e in calce la traduzione latina (Bambi 2016: 24). Tutto ciò comportò una forte francesizzazione del linguaggio giuridico e amministrativo consistente nelle risemantizzazioni, nei franco-latinismi e franco-grecismi, nei calchi strutturali e semantici (Migliorini, 1973: 162-176). La traduzione di testi giuridici francesi in lingua italiana ha contribuito all’ingresso di nuovi termini giuridici e ha determinato una modifica dell’impianto stilistico generale del testo legislativo (Fusco, 2016: 250).

Sono una decina[13] i testi ottocenteschi di legislazione e prassi giuridica (formulari notarili) a contenere anche voci e locuzioni francesi non adattate. Di seguito sono elencati tutti i francesismi integrali estratti dall'archivio Vocanet-LLI (in ordine cronologico): banlieu, bureau, atermoiement, bail à ferme, bail à loyer, bail à rente, bordereau, brevet, exploit, controleur, maire, apprendissagge, maitre des requetes, octroi, paraphè, avoué, réfugié, débet, coupon, coupure, a forfait, talon, tantième. Alcune di questi francesismi non si sono mai affermati in italiano (tantième, bordereaux, octroi, maire, paraphè, coupure, talon); altri come coupon “buono/tagliando/cedola”, bureau “ufficio”[14], a forfait “a prezzo fisso/concordato” hanno ancora oggi una certa circolazione sia nella lingua giuridica che in quella comune, tanto da essere registrati sui maggiori dizionari d’uso della lingua italiana. Tuttavia, al contrario di quanto accade in tempi recenti (in particolar modo, con gli anglismi) i casi di forestierismi non adattati si riducono a poche decine di esempi, ancora meno se si fa riferimento ai soli che hanno attecchito nella lingua comune.

Un posto rilevante per la creazione di nuovi termini giuridici è riservato all’attività traduttiva di formulari notarili d’ispirazione francese. I formulari (raccolte sistematiche di definizioni, schemi, modelli inerenti ad una determinata materia), costruiti sul modello giuridico offerto dal Code civil francese, sono serviti per sistematizzare se non, in qualche caso, elaborare ex novo una disciplina nazionale unitaria: è così che atti e contratti scritti in francese e affiancati da una loro traduzione italiana hanno contribuito all’arricchimento del lessico giuridico. Facciamo qualche esempio tratto dall’archivio Vocanet-LLI: bail à ferme “affitto di una cosa produttiva” (art. 1615 c.c.), bail à loyer “locazione di beni immobili ad uso abitativo” (art. 1571 c.c.), bail à rente “alienazione a rendita” (art. 1861 e 1872 c.c.), atermoiement “dilazione di pagamento”, gage “atto di pegno” (art. 2784 c.c.), exploit “atto di citazione” (art. 163 c.p.c.), procédure civil “procedura civile” (Codice di procedura civile emanato con regio decreto n. 1443/1940). Lo stesso procedimento di traduzione-adattamento ha prodotto dal tedesco Rechtsgeschäft “negozio giuridico”, dall’inglese outlaw “fuorilegge” (Visconti 2012: 186, 189) e numerosi altri esempi (fr.  modèle d'utilité  “modello di utilità”, ing. transfert “trasferimento (del titolo di credito nominativo)”. Interessante è il caso del francesismo apprentissagge riportato all’interno del Formulario dei notari dell’Impero francese ad uso dei notari dei dipartimenti dello Stato Romano stampato a Roma nel 1809 per indicare il contratto attraverso il quale un giovane viene affidato ad un “professionista” che gli insegni tutta la sua arte e che per sei anni gli garantisca alimenti, biancheria pulita, nonché l’alloggio nella sua stessa casa. Nel formulario, a fianco al termine francese ricorre il traducente italiano garzonato (der. di garzone), il quale tuttavia non sembra aver avuto grande fortuna se paragonato al sostantivo apprendissaggio[15], calco del francese apprentissagge, e reso in seguito con apprendistato[16]. Non mancano risemantizzazioni lessicali calcate sul significato di una parola straniera, come è avvenuto per il verbo realizzare “rendersi conto di qualcosa” (calcato sull’inglese to realize, cfr. Visconti, 2012: 189) e il sostantivo costituzione “la legge fondamentale dello stato” (calcato sul francese constitution, cfr. Bambi, 1991: 174) o, molto più recentemente, la tecnicizzazione di ambito processual-penalistico del verbo corroborare “confermare l’attendibilità delle dichiarazioni del pentito unitamente agli altri elementi di prova” (calcato sull'inglese corroboration, Cass. pen., Sentenza n. 7568/1993; Cass. pen., Sentenza n. 11/1995; Cass. pen., Sentenza n. 16939/2912).

È chiaro che la lingua francese, per la sua affinità alla lingua italiana e per l’influenza culturale che ha esercitato per un lungo periodo sul nostro territorio, ha contribuito alla creazione di un lessico giuridico specialistico soprattutto mediante procedimenti di traduzione-adozione. Il livello lessicale della lingua, meno sistematico e maggiormente esposto a fenomeni interferenziali è più soggetto a ricalcare parole e costrutti tipici della lingua di partenza. Visconti (2012: 190) ha messo in luce il cambiamento diacronico nella manifestazione interferenziale del contatto tra lingue diverse, rilevando come tale interferenza si manifestava, fino alla prima metà del Novecento, attraverso il calco strutturale e semantico di una lingua straniera, mentre successivamente al calco è subentrato il prestito non adattato della lingua inglese. Tale cambiamento interferenziale ha subito, sotto l’influsso dell’attività traduttiva da parte delle istituzioni europee, una rapida accelerazione[17]. In effetti, fino alla fine degli anni ’70 del Novecento, il calco strutturale della lingua francese, principale lingua di lavoro europea, sembra essere stato il procedimento linguistico maggiormente utilizzato dalle istituzioni europee per la creazione di tecnicismi giuridici. L’interferenza linguistica dell’attività traduttiva europea ha prodotto neoformazioni lessicali come “anticoncorrenziale”, 1972 (calco di anticoncurrentiel); “antinquinamento”, 1972 (calco di anti-pollution); “antifrode”, 1974 (calco di anti-fraude); “cofinanziamento”, 1966 (calco di cofinancement); “eurobbligazione”, 1970 (calco di euro-obligation); “intracomunitario”, 1960 (calco di intracommunautaire); “interistituzionale”, 1954 (calco di inter-institutionnel); “programma quadro”, 1958 (calco di programme-cadre). Le date indicate a fianco di ogni voce corrispondono alla prima attestazione scritta della parola documentata proprio all’interno di documenti giuridici europei (Tombesi, 2020: 133-158). Successivamente, il passaggio dal francese all’inglese come principale lingua di lavoro europea ha determinato, similmente a quanto accaduto in altre varietà di lingua, un aumento e una diffusione di prestiti non adattati dalla lingua inglese.


3
. Gli anglismi “giuridici”

 Per comprendere la crescente diffusione degli anglismi in testi giuridici normativi bisogna osservare l’intero insieme delle fonti che li produce. Una prima fonte di produzione dell’anglismo “giuridico” è il contratto di commercio internazionale (Pozzo, Bambi, 2012: 9). L’internazionalizzazione della prassi contrattuale, soprattutto nel diritto bancario e finanziario, diffonde una serie di termini inglesi presenti nei modelli contrattuali uniformi redatti dagli uffici legali delle grandi multinazionali e da consulenti imprenditoriali. L’uniformità internazionale di modelli e concetti come quello del leasing, franchising, know-how, renting, etc. è garantita dalla trasposizione linguistica di un dato termine senza adattamenti (Galgano, Marella, 2010: 20). Una seconda fonte da cui proviene l’anglismo nella lingua giuridica è il formante legislativo europeo e, in misura minore, la giurisprudenza europea (es. antidumping, cost-benefit analysis, in house providing, start up, trust, etc.), soprattutto da quando l’inglese è diventata principale lingua di lavoro delle istituzioni europee. Visconti (2012: 186) mette in luce una terza fonte da cui proviene l’anglismo “giuridico”: il diritto anglosassone di common law e il processo penale statunitense, filtrati in qualche caso dalle Decisioni quadro europee in tema di giustizia penale (discovery, corroboration, cross-examination, etc.). Nello scenario appena delineato, l’Unione europea gioca ancora un ruolo di primo piano per il monitoraggio degli anglismi “giuridici”, se non altro come luogo privilegiato di contatto tra più lingue e di costante vicinanza tra ordinamenti giuridici diversi.

In linea di massima, gli anglismi “giuridici” possono essere classificati in due gruppi distinti in base alla resa traduttiva e al tipo di testo nel quale si diffondono maggiormente. Da una parte abbiamo gli anglismi “necessari”[18] nati per denominare nuovi soggetti, istituti, interessi giuridicamente rilevanti e contratti commerciali, la cui traduzione potrebbe risultare problematica ed equivocabile[19]; dall’altra abbiamo anglismi  “di lusso” (o “superflui”) usati a meri scopi retorici e comunicativi che in molti casi posseggono già il medesimo equivalente italiano prima della loro diffusione o, anche se non lo avessero, la loro traduzione garantirebbe senza dubbio coerenza e trasparenza semantica. Facciamo qualche esempio. L’istituto dell’in house providing (“affidamento in house”), elaborato solo recentemente dalla Corte di Giustizia europea in riferimento al settore degli appalti pubblici, identifica un nuovo modello organizzativo di una pubblica amministrazione, che provvede ad affidare l’esecuzione dell’appalto pubblico o la titolarità del servizio ad un’altra entità giuridica senza l’obbligo di indire una gara pubblica[20]. La traduzione letterale in “affidamento interno”, “affidamento diretto” (talvolta utilizzata dal traduttore europeo e dal legislatore nazionale) può risultare ambigua, problematica e in grado di generare confusione e grave imprecisione anche nella dottrina giuridica, tanto che, dalla giurisprudenza amministrativa nazionale, la locuzione non viene mai tradotta (Travi 2016: 146).

I vantaggi d’uso di parole straniere qualora siano nate, recepite o elaborate dal diritto internazionale ed europeo sono molteplici: la sicura conformità terminologica al diritto internazionale e alla prassi contrattuale, la possibilità di sintetizzare in una o due parole il contenuto informativo e definitorio di un termine altrimenti troppo lungo e poco agevole, l’utilità di utilizzare una parola “estranea” al diritto nazionale che non rischi di generare ambiguità semantica con termini già esistenti.

La seconda edizione del dizionario Le Petit Robert uscita nel 1977 (prima ediz.: 1966) affianca proposte di adattamento francese agli anglismi terminanti in -ing. Tra queste proposte, compare anche l’adattamento dell’anglismo factoring[21] in affacturage, secondo le regole morfologiche del francese e, in questa forma, la voce ricorre sull’archivio di legislazione europea EUR-Lex dal 1985, sebbene l’uso dell’anglismo factoring non sia affatto scomparso. Questo punto mette in luce un problema abbastanza delicato, cioè quanto sia più vantaggioso, davanti alla necessità di esprimere un nuovo “oggetto”, creare un neologismo ad hoc del tutto o parzialmente indigeno (alla stregua di quanto hanno fatto i francesi: es. factoring/affacturage, ma anche leasing/crédit-bail; franchising/ franchisage; merchandising/ merchandisage), piuttosto che utilizzare un termine inglese già circolante nella comunità “extranazionale”. Tra l’altro, come recentemente evidenziato da Cortelazzo (2015: 27-36), proporre repentinamente e con efficacia un neologismo ad hoc o un traducente indigeno prima che il forestierismo attecchisca nella lingua scritta è un’impresa che richiede molta attenzione da parte del mondo intellettuale e costituisce, probabilmente, l’unico modo per bloccare sul nascere la diffusione della voce straniera ed evitare la sinonimia terminologica. Un ruolo fondamentale nel contenimento della circolazione degli anglismi in ambito giuridico lo giocano ovviamente i legislatori europei e nazionali, oltre che i linguisti e lessicografi.

Oltre al gruppo di anglismi appena considerati, ne esiste un altro che ci sembra opportuno considerare come insieme diverso. Questa seconda tipologia di anglismi racchiude quei termini inglesi “non tecnici”, che avrebbero già un equivalente attestato in italiano al momento della loro diffusione o per i quali la traduzione italiana non comprometterebbe in nessun modo il significato originale. La circolazione di questo tipo di anglismo non è motivata da esigenze semantiche e di standardizzazione terminologica, ma da una più generale “fascinazione” esercitata dalla lingua straniera rispetto a quella nazionale e che trova nei testi della stampa il principale vettore di diffusione. A questo punto è necessaria una precisazione: gli anglismi sono molto spesso utilizzati nei mezzi di comunicazione di massa, nei giornali e nella lingua politico-istituzionale: parole come jobs act, task force, authority, leader acquisiscono una particolare rilevanza proprio perché rispondono sempre a specifiche esigenze pragmatiche e retoriche, ma poi entrano con bassa frequenza all’interno del testo normativo, perché prive di una denotazione tecnica. Ad esempio, il piano di riforma del mercato del lavoro denominato e pubblicizzato dal governo Renzi come “jobs act” non è attestato in nessuno dei nove decreti legislativi che l’hanno introdotto e dalla successiva legge delega n. 183/2014, oltre a non risultare mai attestato su Normattiva[22]. Lo stesso può dirsi degli anglismi fiscal compact e del più recente booster (dose) sostituiti, nei testi giuridici normativi documentati su Normattiva, dai traducenti italiani “patto di bilancio europeo” e “richiamo”.


4. Cosa ci dicono le banche dati giuridiche sull’uso degli anglismi?

Il presente paragrafo è indirizzato all’analisi quantitativa degli anglismi presenti all’interno di testi giuridici normativi, osservati attraverso l’ausilio della piattaforma Normattiva. Gli anglismi scelti per il monitoraggio linguistico (partnership, holding, fiscal compact, spending review, booster) appartengono alla categoria di anglismi “non tecnici” e che posseggono un perfetto equivalente o traducente italiano. Tali anglismi sono stati estratti attraverso il software Profiling-UD[23] da un corpus costituito da 288 testi normativi statali (1.250.000 token). Sull’archivio di legislazione nazionale Normattiva, il termine partnership “intesa, accordo” è attestato in 37 atti emanati tra il 1978 e il 2020, perlopiù leggi di ratifica di accordi internazionali e disciplina di attuazione di norme comunitarie. Riportiamo un esempio (il corsivo è nostro): "Gli utili provenienti dall'alienazione di una partecipazione in una società di persone (partnership) o in un'associazione commerciale (trust) […] sono imponibili in detto Stato" (Legge n. 912/1978, “Ratifica ed esecuzione della convenzione tra l'Italia ed il Canada per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito”, art. 13, comma 3). L’anglismo holding “società controllante (capogruppo)” è documentato in 19 atti, il primo dei quali è il Decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1747/1947 relativo agli “Accordi in materia economico finanziaria conclusi a Washington fra l'Italia e gli Stati Uniti d'America il 14 agosto 1947”. Tali norme si occupano perlopiù di ratificare o approvare trattati (5), ma anche di attuare discipline comunitarie (3) e di regolare i rapporti tra Stato e Chiesa (1). In riferimento alla locuzione spending review “revisione della spesa pubblica”, l’interrogazione ha restituito 7 attestazioni in atti compresi tra il 2020 e il 2011. Anche in questo caso, le fonti nelle quali la locuzione è adoperata sono varie (decreti legge, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, leggi) e tutte di ambito economico-finanziario:  “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, “Regolamento di organizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze”, “Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia”, “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 giugno 2019, n. 103, concernente il regolamento di organizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze”, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia”, etc.. Infine, il termine booster “richiamo (vaccinale)” e la locuzione fiscal compact “patto di bilancio” non hanno restituito alcun documento, a dimostrazione del fatto che la lingua giuridica normativa continua ad essere una varietà di lingua alquanto conservativa e poco propensa all’uso diffuso di anglismi “non tecnici” che potrebbero minare la comprensione del testo.


4.1 Analisi degli anglismi nella normativa regionale e nei provvedimenti amministrativi comunali

Usando il portale Normattiva nella sezione dedicata alla normativa regionale, è stata quindi verificata la presenza dei cinque anglismi nella legislazione regionale e in quella delle province autonome. La ricerca consente di verificare la presenza di parole nel testo dei singoli atti e di restituire un risultato visualizzabile sia per regioni che per tipo di atto (legge o regolamento).

Nella banca dati la prima parola ricercata è stata partnership. L’anglismo ricorre in 67 atti (41 leggi, 26 regolamenti) emanati tra il 1966 (legge regionale Friuli Venezia Giulia n. 18/1966) e il 2021 (legge regionale Calabria n. 34/2021). La regione che più ha usato tale anglismo è il Friuli Venezia Giulia (21), seguita dalla Puglia (13). Le regioni nelle quali l'anglismo è meno attestato sono l'Umbria (1) e l'Abruzzo (1). Si riporta un esempio tratto dalla Legge regionale del Piemonte n. 11/2018, in cui è possibile osservare il contesto d’uso del termine inglese (il corsivo è nostro): «[…] promuovere e sostenere la crescita e l'aggiornamento professionale del personale […] attraverso progetti di scambio e di studio e partnership con soggetti, enti e realtà di rilevanza nazionale ed internazionale» (“Disposizioni coordinate in materia di cultura”, art. 17, comma 1, lettera c). La locuzione spending review è presente in 11 testi normativi regionali (10 leggi regionali e 1 regolamento) emanati tra il 2008 e il 2021 da tre regioni (Toscana, Molise e Calabria). La regione in cui è maggiormente documentata la locuzione è la Calabria (8), seguita da Toscana (2) e Molise (1). Riportiamo un esempio di utilizzo di tale locuzione (il corsivo è nostro): «Allo scopo di ottemperare alle disposizioni statali in tema di “spending review” […]» (legge regionale Calabria n. 56/2013, Titolo II, art. 3, comma 1).

L’anglismo holding è presente in 8 atti normativi regionali (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Umbria, Molise, Calabria) emanati tra il 2004 e il 2021. Il Friuli Venezia Giulia è la regione che ha usato più volte il termine (4) mentre le altre regioni lo hanno usato una volta ciascuna. Un esempio di uso del termine è documentato nella legge regionale del Veneto n. 4/2021 relativa alla “Realizzazione riordino della governance regionale nel settore delle infrastrutture e dei trasporti” che, tra l'altro, presenta nello stesso titolo l'anglismo governance (il corsivo è nostro): "h) promozione della costituzione di una holding autostradale del nord est per il rafforzamento istituzionale […]" (art. 1, comma 2, lettera h).

L’anglismo booster e la locuzione fiscal compact non ricorrono in nessun atto normativo regionale contenuto all'interno del portale Normattiva. L’analisi sul corpus di legislazione regionale ha evidenziato anche l’uso di altri termini in lingua inglese. Si veda ad esempio il termine marketing, presente ad esempio nella legislazione piemontese in 25 atti tra leggi e progetti di legge, tra il 1984 e il 2020.

Per quanto riguarda i provvedimenti amministrativi comunali, i termini e le locuzioni oggetto della verifica sono stati ricercati nelle banche dati dei Comuni capoluogo di ciascuna delle regioni italiane, al fine di avere un quadro il più possibile dettagliato (tenuto comunque conto della esiguità del campione selezionato) dell’intero territorio nazionale. In molti casi, gli strumenti di ricerca avanzata previsti nei siti comunali non sono in grado di restituire esiti sull’intero contenuto del documento, ma riportano l'esito delle ricerche nei soli titoli o nell’oggetto dell’atto amministrativo (deliberazioni, determinazioni, ordinanze) o del regolamento comunale. Un altro limite presente in tali maschere di interrogazione è dato dalla necessità di dover selezionare un anno specifico per la ricerca dei documenti. Questi elementi costituiscono certamente una forte criticità per condurre analisi quantitative con dati affidabili e completi, tanto che, una prima rassegna della letteratura in materia ha dato come esito solo il saggio di Daniele Fortis  (Fortis, 2005), nel quale vengono elencati una serie di forestierismi appartenenti a quell'“angloburocratese” che invade, appunto, anche i provvedimenti comunali prodotti dai nostri uffici amministrativi (authority, devolution, stakeholder, outsourcing, city manager, mobility manager, urban planning, governance, front office e back office, cfr.  Fortis, 2005: 56-59). Numerosi sono invece gli studi[24] incentrati sull'ingresso degli anglismi all'interno dei linguaggi della pubblica amministrazione (Vellutino, 2018: 84-96). Tale uso è considerato ormai così consueto che anche il recentissimo aggiornamento della Guida al linguaggio della pubblica amministrazione[25], spiegando in che modo scrivere alcuni termini ricorrenti nei servizi pubblici, reca indicazioni anche per tradurre una decina di anglismi.

In generale, ciò che emerge dalla ricerca dei cinque anglismi condotta nelle banche dati dei siti comunali è un uso alquanto “coerente” in tutti i comuni capoluogo: maggior frequenza di attestazioni dell’anglismo partnership e della locuzione spending review, seguite dal sostantivo holding (utilizzato in molti casi come nome proprio di una società capogruppo). La locuzione fiscal compact è documentata una sola volta all’interno della delibera del Consiglio comunale dell’Aosta n. 155/2017, mentre non ricorre alcuna attestazione del sostantivo booster[26] per indicare il “richiamo (vaccinale)”. La maggior porosità dei provvedimenti amministrativi dovuta alla grande varietà di materie trattate e alla diversa tipologia di testi prodotti dalle pubbliche amministrazioni determina un meccanismo di ingresso degli anglismi diverso rispetto a quello adottato nei testi normativi statali e regionali. Ciò si evince dalla maggior disponibilità ad accogliere anglismi “superflui”, non tecnici, diffusi nell’italiano istituzionale della comunicazione pubblica, nella lingua dei giornali e in quella di altri mezzi di comunicazione di massa: anglismi come voluntary disclosure, subsidy contract, hotspot, marketing, front office, call center ricorrono con una certa frequenza sia nel testo, che nel solo titolo o oggetto del documento, minandone la chiarezza e la comprensibilità.                                   


5
. Riflessioni conclusive

Come abbiamo osservato nei paragrafi 1 e 2, prima del XIX secolo, termini forestieri non adattati ricorrevano nella lingua giuridica solo occasionalmente. In seguito, come già osservato da altri studiosi (Bambi: 1991; Fiorelli, 2008; Visconti, 2012; Fusco, 2016), l’influenza esercitata dalla cultura e dal diritto francese in Italia ha determinato un maggior afflusso di francesismi all’interno del testo giuridico, sebbene si sia continuato a sfruttare la traduzione-adattamento come principale procedimento di arricchimento e creazione del lessico giuridico[27]. Il secondo novecento ha visto un cambiamento di rotta: la pervasività della lingua inglese, il suo crescente utilizzo come principale lingua di lavoro europea e l’accoglienza di istituti giuridici, contratti e modelli di common law (estranei al nostro ordinamento) hanno determinato un aumento e una diffusione di prestiti non adattati da tale lingua, a discapito della lingua italiana.

Il tema dell’interferenza linguistica può avere risvolti positivi e negativi, specie in un linguaggio come quello giuridico in cui precisione e chiarezza sono fondamentali (Cavagnoli, 2017: 99). Così accanto ad un certo numero di anglismi tecnici, necessari a garantire certezza e univocità terminologica, risiedono anglismi “non necessari” e facilmente traducibili, in grado di generare una maggiore difficoltà di comprensione dei testi giuridici (sia normativi sia amministrativi), non solo per i non addetti ai lavori. Come noto, le norme di tecnica legislativa, come pure i manuali per la redazione di atti e provvedimenti amministrativi. Ad esempio la Guida alla redazione degli atti amministrativi. Regole e suggerimenti del 2011 (così come molte altre linee guida e i manuali di drafting normativo) prevede alla regola 16 che le parole straniere possano essere adoperate solo se sono di uso comune nella lingua italiana, se sono diffuse nel linguaggio normativo e amministrativo e se non hanno corrispondenti in italiano[28]. La regola 13 del manuale di tecnica legislativa adottato dalle regioni italiane prevede invece che possano essere usati neologismi o forestierismi ma solo se “per un dato concetto non esistono parole dell'italiano comune caratterizzate da precisione, chiarezza e univocità”[29].

Come è stato giustamente già notato, la presenza nei testi amministrativi di termini in lingua inglese svolge la stessa funzione che era un tempo affidata ai latinismi e cioè quella di conferire a tali testi un maggiore prestigio (Cortelazzo, 2021:  36-37), a discapito, tuttavia, dello scopo principale che tali testi, così come quelli legislativi, hanno, e cioè di introdurre regole e disposizioni che per essere fatte proprie e quindi rispettate dai consociati devono essere prima di tutto comprese al fine di consentire a tutti di partecipare alla vita pubblica (Fioritto, 2009: 43).
 

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Note: 

[1] Nel quadro di una comune progettazione e revisione dell'articolo, si deve a Elena Tombesi la stesura dei paragrafi 1-3 e a Francesco Romano quella relativa ai paragrafi 4 e 5.

[2] Gli statuti comunali, delle arti o di alcune istituzioni religiose scritti in lingua volgare provengono perlopiù dalla regione Toscana, con a capo la città di Siena. Tra gli statuti certamente volgarizzati si evidenzia, ad esempio, quello trascritto nel 1309-1310 dal notaio senese Ranieri Ghezzi Gangalandi (Salem, 2002), lo statuto fiorentino degli oliandoli scritto tra il 1310 e il 1313 (Castellani, 1963-64: 55), lo statuto dell’arte di Calimala volgarizzato nel 1334 (Filippi, 1889: 65-193) e, infine, quello dei monetieri del 1335 (Ginori Conti, 1938).

[3] I formulari notarili potevano essere destinati alla lettura ad alta voce davanti al cliente privato o potevano costituire un semplice riferimento linguistico per il notaio durante l’esposizione orale. I primi formulari volgarizzati giunti fino a noi sono tre: il Liber formularum et instrumentorum di Ranieri da Perugia scritto in volgare viterbese (Castellani, 1997: 223-230), una raccolta di otto formule volgarizzate dall’aretino Ciuccio di Dardo (Pieri, 1972: 207-214), e infine un ricco formulario ancora inedito scritto in latino dal senese Pietro di Giacomo, al quale segue un elenco di cinque formule volgari (Fiorelli, 2008: 20).

[4] Ognuno di questi esempi è stato osservato tramite lo spoglio dei testi contenuti nell’archivio unificato Vocanet-LLI. Nello specifico, il sostantivo “arte” (corporazione) è attestato nel Volgarizzamento del Liber consolationis et consilii di Albertano del 1268; “azione”, “contratto”, “fedecommesso”, “usufrutto” sono documentati nel volgarizzamento dell’Arte notariae di Rainerio da Perugia (a. 1250); “(carta di) locazione” ricorre negli Statuti di S. Jacopo di Pistoia volgarizzati nel 1313; “enfiteusi”, “prediale” ricorrono nel Volgarizzamento della Summa de casibus coscientiae di Bartolomeo da San Concordio (u.d. XIV sec); “usucapione” ricorre nel volgarizzamento della Summa angelica del reverendo Angelo da Chivasso del 1593. Sul rapporto tra latino e volgare nei testi giuridici si veda anche (Neri, 2022) e (Bambi, 2018).

[5] L’archivio Vocanet-LLI è la combinazione degli archivi Vocanet LGI-Lessico Giuridico Italiano (dottrina, legislazione e prassi dal 960) e LLI-Lingua Legislativa Italiana (codici, costituzioni e leggi fondamentali dal 1539), banche dati congiuntamente interrogabili in rete all’indirizzo Internet: http://www.ittig.cnr.it/BancheDatiGuide/vocabolario/ (ultimo accesso il 26 luglio 2022).

[6] Dal 1° giugno 2019, l’istituto ITTIG-CNR è confluito nell’Istituto di Informatica Giuridica e Sistemi Giudiziari (IGSG).

[7] Le 23 lingue selezionabili sono, in ordine alfabetico: arabo, austriaco, cinese, danese, ebraico, francese, greco, inglese, indiano, latino, longobardo, olandese, normanno, norvegese, portoghese, russo, spagnolo, sassone, serbocroato, siamese, somalo, tedesco e turco.

[8] Mercati, 1915-1954: 322.

[9] Carta della proibizione delle pratiche (Tavate), 1570, in Pollavini, 1935: 122.

[10] Trattato dei genovesi con il chan dei Tartari (1381), in Migliorini / Folena, 1952: 64.

[11] Entrambi gli anglismi ricorrono nell’articolo 2 della “Convenzione di estradizione Italia-Gran Bretagna” del 5 febbraio 1873 (regio decreto n. 1295/1873).

[12] Napoleone cercò di uniformare la penisola alla Francia da un punto di vista politico e legislativo, abolendo certi vincoli giuridici e introducendone di nuovi. Intervenne anche linguisticamente nel disporre, nei territori direttamente dipendenti alla Francia, la lingua francese come lingua ufficiale (Fusco, 2016: 249-250) Su questo tema si veda (Zuliani, 2018).

[13] Qui di seguito alcuni testi contenenti francesismi e presenti all’interno dell’archivio unificato Vocanet-LLI: la “Collezione delle carte pubbliche tese a consolidare la rigenerata Repubblica romana” (1798-1799), le “Formule degli atti da praticarsi nel Regno d’Italia” (1806), la “Legge francese del IV ventoso 1800”, il “Bollettino delle Leggi e decreti imperiali pubblicati dalla Consulta straordinaria degli Stati romani” (1809-1810), il “Formulario dei notari dell’Impero francese ad uso dei notari dei dipartimenti dello Stato Romano” (1809), il “Formulario notarile per i Dipartimenti dell’Impero francese in Italia” (1810), la “Raccolta degli atti di governo di S. M. il Re di Sardegna” (1814-1832).

[14] La voce ‘burò’ (bureau) era già riportata a lemma e segnalata con intento puristico nell'Elenco di alcune parole oggidì frequentemente in uso, le quali non sono ne vocabolari italiani pubblicato nel 1812 da Giuseppe Bernardoni (fonte: Google Libri, p. 12.).

[15] La prima attestazione di apprendissaggio, con il generico significato di “apprendimento”, risale al Dizionario del cittadino o sia ristretto storico, teorico e pratico del commercio, tradotto dal francese da Francesco Alberti di Villanova e stampato a Nizza nel 1762. La voce, utilizzata persino da Gramsci (2017: 161) nei Quaderni dal carcere, venne tuttavia stigmatizzata come «ridicola e inutile traduzione» da Paolo Monelli (1933: 7), giornalista-letterato redattore della “Gazzetta del Popolo” torinese.

[16] La voce apprendistato è retrodatata di un secolo esatto rispetto alla data di prima attestazione esibita dal GRADIT (GRADIT: 1933 → 1833), ma riceve larga diffusione a partire dagli anni ’40 del Novecento quando inizia ad essere elaborata la prima disciplina giuridica sull’apprendistato (cfr. legge n. 739/1939).

[17] Rimandiamo ai contributi di Biel, 2017: 31-57 e Mori, 2018: 199-242.

[18] Accettiamo in questo studio la tradizionale distinzione tra prestiti di lusso e prestiti di necessità fornita dal linguista svizzero Ernst Tappolet sulla base dei prestiti tedeschi nei dialetti della svizzera francese e autorevolmente ripresa da Marazzini (2015: 14-25). Sebbene un forestierismo dia sempre un apporto aggiuntivo (anche solo connotativo) all’equivalente o traducente italiano, ci sembra assolutamente opportuno distinguere tra i forestierismi “tecnici” della comunità internazionale da quelli usati «per espressività nel discorso popolare» (Marazzini, 2015: 23).

[19] Il testo giuridico normativo ha la necessità di una terminologia altamente monoreferenziale e coerente davanti alla quale, come ricordava Sacco, il giurista comparato deve imparare a volte a non tradurre (Sacco, 1992: 41).

[20] Esistono requisiti specifici affinché questo istituto possa realizzarsi: in primo luogo il capitale dell’affidatario deve essere totalmente pubblico (è ammessa la partecipazione in modo limitatissimo di capitali privati); in secondo luogo, l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale devono esercitare sulla società un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi; infine, la società deve realizzare la parte più importante della propria attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza. L’affidamento senza gara (diretto) è, quindi, una conseguenza legittima di tale rapporto.

[21] Il factoring identifica il “contratto con cui un'impresa cede una parte o la globalità dei propri crediti a un'altra impresa che ne anticipa il pagamento, dopo averne dedotto un suo compenso o la copertura dei rischi” (GRADIT: 1974).

[22] Normattiva, portale attivo dal 2010 per la raccolta della normativa vigente. Disponibile su: https://www.normattiva.it (ultimo accesso: 20 luglio 2022).

[23] Brunato, Cimino, Dell’Orletta, Montemagni, Venturi, 2020: 7145-7151.

[24] Rimando solo ad alcuni di questi: Bombi, 2013; Bombi, 2016; Tafani, 2019.

[25] Guida al linguaggio della Pubblica Amministrazione (30 giugno 2022), link per accedere al contenuto:  https://docs.italia.it/italia/designers-italia/writing-toolkit/it/bozza/index.html (ultimo accesso il 28 luglio 2022).

[26] Fra le determinazioni dirigenziali emanate dal Comune di Firenze da novembre 2020 ad oggi è stata trovata la sola parola booster nel provvedimento n. 11577 del 28/12/2020 avente ad oggetto “Affidamento diretto ai sensi dell’art. 36 comma 2 lett. a) del D.lgs. 50/2016 della fornitura di n. 2 booster – ricarica batteria per l’Autoparco Comunale ...”. La parola booster ricorre una sola volta per identificare il modello di un motorino rimosso.

[27] Per l’importanza che le grandi ordinanze dei re di Francia ebbero sul legislatore italiano si veda: Fiorelli, 1994: 589.

[28] Gruppo di lavoro promosso da ITTIG CNR e dall’ Accademia della Crusca 2011 e anche dal Dipartimento della Funzione pubblica 2002.

[29] Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi manuale per le Regioni promosso dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome con il supporto scientifico dell’Osservatorio legislativo interregionale, Terza edizione, dicembre 2007, regola 13, p. 26.