Un “campione” neoclassico: specimen

Diversi lettori ci pongono domande a proposito della pronuncia di specimen; uno di loro, in particolare, scrive che nell’àmbito della pubblica amministrazione si parla spesso di “specimen di firma”: in questo caso va pronunciato “alla latina” o “all’inglese” come fanno alcuni suoi colleghi? E al plurale resta invariato?

Risposta

La questione della pronuncia di specimen, posta in numerose richieste di consulenza, è semplice e difficile allo stesso tempo. 
Specimen è una parola latina, già solidamente attestata nella lingua classica nel significato di ‘esempio, prova, saggio’ o anche, per estensione, di ‘modello esemplare’ e di ‘emblema’: “nunc specimen specitur, nunc cerramen cernitur” (‘ora si prova la prova, si dimostra la dimostrazione’) scrive Plauto nella commedia Le Bacchidi, giocando sulla derivazione dal verbo specio ‘guardo, osservo’, antenato di tante altre parole italiane: specchio, speculare, spettatore, spettro (si veda il RIF).

Cominciamo intanto a distinguere tra latinismi ereditari, latinismi dotti o semidotti, e latinismi integrali. I latinismi ereditari, detti anche patrimoniali o popolari, sono le parole italiane che continuano – senza interruzione d’uso – parole della lingua latina e che col tempo hanno mutato aspetto più o meno vistosamente a causa dell’evoluzione dei suoni e dei significati: chiunque è in grado di riconoscere il latino bonum nell’italiano buono o anche il latino domina nell’italiano donna, ma l’aggettivo nitidus si è trasformato in nétto, e cogliere quest’evoluzione, come quella di altre parole che sono molto cambiate nel tempo, è difficile senza consultare un vocabolario.

I latinismi dotti sono parole latine entrate in italiano per via libresca quando nella nostra lingua si erano già svolti i principali processi di cambiamento fonetico: conservano dunque meglio l’aspetto che avevano nella lingua d’origine, adattando solo la desinenza; da nitidus si ha così anche nitido, per non allontanarci dall’esempio precedente, e moltissime sono le coppie di parole formate da una stessa base latina per via ereditaria o per via dotta (cerchio e circolo, per far solo un esempio); se la conservazione è imperfetta si può parlare di forme semidotte, per esempio dovizia ‘ricchezza’ da divitiam.

Infine, i latinismi integrali (o crudi) sono quelle parole latine che non hanno subito adattamenti nella forma e dunque sono percepite come estranee all’italiano anche quando hanno un’aria di famiglia perché imparentate con parole pienamente in uso. Sono latinismi integrali anche espressioni fraseologiche, alcune quasi indistinguibili dalla lingua italiana, come grosso modo ‘in modo grossolano’; o proverbi e motti celebri, come alea iacta est ‘il dado è tratto’,  cui prodest ‘a chi giova’ e molti altri, diffusi dalla lingua della religione cristiana o del diritto. Secondo alcuni calcoli, i latinismi integrali di questo genere presenti nei nostri dizionari sono circa 1.000.

Specimen è un latinismo integrale: non solo conserva la grafia della parola latina, ma in parte ne conserva anche l’uso prevalente o esclusivo al singolare; anche in latino, infatti, specimen ricorreva perlopiù al nominativo e all’accusativo singolari, tra l’altro identici nella forma in quanto il sostantivo era di genere neutro.

Passo alla pronuncia. La penultima sillaba di specĭmen contiene una vocale breve: secondo una regola scolastica (nella pronuncia delle parole latine l’accento può “cadere” solo sulla penultima e sulla terzultima sillaba; cade sulla terzultima se la vocale della penultima sillaba è breve), quando si legge specimen bisogna accentare la terzultima sillaba e dunque dire spècimen. La c è un’affricata alveopalatale sorda tenue, rappresentata con il segno [ʧ] nell’alfabeto fonetico internazionale: è la c di specie o di decimo; ai tempi di Cicerone e ancora a lungo in epoca imperiale la pronuncia del segno grafico c doveva corrispondere più o meno a un’occlusiva velare sorda [k], ma la pronuncia scolastica italiana si è adagiata sul modello della lingua moderna.

Fin qui, sapere come comportarsi è relativamente semplice; ma come mai lettrici e lettori sono in dubbio, e segnalano anche le pronunce [ʹspɛ:simen] e [ʹspɛ:simin]? Perché specimen, come altri latinismi integrali, è un latinismo “neoclassico”, recuperato per via libresca dai testi latini antichi e medievali in epoca umanistica e rinascimentale o nei secoli successivi. Secondo vari dizionari, specimen appare per la prima volta in italiano in una lettera scritta nel 1723 dall’erudito bolognese Filippo Argelati al più noto storico e letterato Lodovico Antonio Muratori. Fuori degli scambi eruditi, tuttavia, specimen è senz’altro entrato in italiano come prestito da altre lingue europee, e proprio dall’inglese secondo il Dizionario etimologico della lingua italiana (DELI), che lo registra – appoggiandosi a uno studio di Anna Benedetti – in una traduzione italiana da Walter Scott del 1839, nel significato di ‘campione, saggio’.

Resta da provare a rispondere alla domanda di un lettore sulla locuzione specimen di firma, diffusa nella lingua commerciale e burocratica, soprattutto nella terminologia bancaria; alla voce specimen il maggior dizionario storico dell’italiano, il Grande dizionario della lingua italiana (GDLI), riporta l’accezione ‘autografo della firma depositato da ciascun cliente in banca, per rendere possibile il riscontro delle firme sugli assegni di conto corrente’, ma non dà esempi; qualcosa in più, ma sempre senza esempi, si ricava all’accezione numero 6. del lemma firma, da cui riporto le righe seguenti:

Banc. Specimen di firma o deposito di firma: l’autografo depositato per accertare l’autenticità della firma apposta su assegni bancari da un correntista o, in genere, l’autenticità della firma di un cliente (l’apposito schedario è detto libro delle firme); il fac-simile dell’autografo dei funzionari autorizzati a sottoscrivere per la banca.

Anche il più ricco dizionario dell’italiano contemporaneo, il Grande dizionario italiano dell’uso (GRADIT), registra la locuzione specimen di firma, proponendo come sinonimo deposito della firma, che peraltro non è esattamente la stessa cosa.

Non ho trovato esempi antichi di specimen di firma, locuzione che potrebbe essere rifatta su modelli francesi o inglesi (il francese aveva preso a prestito specimen dall’inglese già nel Seicento, come si ricava dal Trésor de la Langue Française informatisé). L’espressione inglese equivalente è riportata dai dizionari con qualche oscillazione: la versione digitale del Cambridge English Dictionary ha specimen signature, che potremmo tradurre con firma modello o firma campione e in cui specimen è usato come aggettivo; il Sansoni inglese riporta all’accezione 3 del lemma specimen le locuzioni signature specimen e handwriting specimen, proponendo la traduzione firma di paragone, mentre il Ragazzini 2023 ha specimen signature reso con firma di paragone, specimen, firma depositata.

Che l’origine inglese sia più probabile mi pare confermato dall’assenza di spécimen de signature nei principali dizionari francesi dell’uso e da una ricerca nella banca di dati multilingue canadese TERMIUM Plus, che per l’inglese suggerisce specimen signature, registrando signature specimen solo in ambiti specifici, e per francese e spagnolo propone rispettivamente spécimen de signature o signature témoin e espécimen de firma o ejemplar de firma; un’ulteriore conferma viene dal Grand dictionnaire dell’Office Québecois de la langue française. Si spiega sicuramente con quest’origine inglese, che sia letteraria e già ottocentesca o – più probabilmente – burocratica e molto più recente, la pronuncia anglicizzante segnalata da più parti; e in effetti vari dizionari, per esempio lo Zingarelli 2023, ma anche l’autorevolissimo Dizionario d’ortografia e pronunzia (DOP), registrano anche la pronuncia inglese, e pure la forma plurale specimens (nel francese spécimen, il cui plurale è spécimens, l’accento cade invece sull’ultima sillaba).

Della pronuncia ho già detto. Quanto al plurale, i latinismi integrali andrebbero trattati in italiano come parole straniere, come scrisse con chiarezza Bruno Migliorini nel 1938: sono dunque da usare preferibilmente come invariabili, soprattutto se entrati nell’uso in epoca relativamente recente e tramite altre lingue europee. Faccio solo tre esempi: bonus, forum e referendum sono due latinismi integrali, e se referendum come sostantivo non era usato nell’antica Roma, benché fosse una forma regolare del verbo refero, bonus è un aggettivo comunissimo nel latino classico, anche se il significato attuale di bonus (per esempio in ecobonus) è molto diverso, e altrettanto normale era la parola forum; ma nessuno, direi, si sognerebbe di declinarli al plurale, dicendo “ho ricevuto due boni spesa”, oppure “ho votato a tutti e due i referenda”, o ancora “partecipo a vari fora in rete”. Ovviamente non mancano le eccezioni e le oscillazioni: desiderata ‘preferenze, desideri’ si usa quasi solo al plurale, mentre curriculum è spesso pluralizzato in curricula, in quanto nato in ambiente universitario, in cui l’uso del latino era comune.

Nel caso di specimen suggerisco l’uso invariabile, lasciando il plurale specimina ai filologi classici, e ad altri scienziati (biologi, botanici, zoologi) altre forme declinate, per esempio la locuzione ex specimine ‘in base all’esemplare’; metterei senz’altro tra i monstra pseudolatini lo specimene usato da Giovanni Papini nella rivista “Lacerba” (1913-1915), come ci informa il GDLI, e lo “specimine glossematico” usato da Alfredo Giuliani nel romanzo Il giovane Max (1972); sono due tipiche parole occasionali, la prima ottenuta verosimilmente con l’aggiunta italianizzante di una desinenza -e alla base latina, la seconda spiegabile come un’invenzione spiritosa piuttosto che dovuta a ignoranza della morfologia latina. Resta pure possibile, anche se rara, l’italianizzazione spècime, spècimi, approvata da Bruno Migliorini nell’appendice al Dizionario moderno di Alfredo Panzini. Con le parole del grande linguista – si parva licet – concludo:

[…] Nessuno ha il coraggio di dire specimina, alla latina; né è raccomandabile il plurale con -s. Qualcuno adatta la parola in italiano: lo spècime, gli spècimi (e, per mio conto, approvo).

Nota bibliografica:

  • Anna Benedetti, Le traduzioni italiane da Walter Scott e i loro anglicismi, Firenze, Olschki, 1939.
  • Davide Colussi e Paolo Zublena, Parole d’autore, Milano, RCS Mediagroup, 2020.
  • Bruno Migliorini, Parole nuove. Dodicimila voci a complemento del «Dizionario moderno di Alfredo Panzini, Milano, Hoepli, 1963.
  • Bruno Migliorini, «Auditorium o auditorio?», in, La lingua italiana nel Novecento, a cura di Massimo L. Fanfani, Firenze, Le Lettere, 1990,pp. 63-80 (già pubblicato come terzo capitolo di Lingua contemporanea, Firenze, Sansoni, 1938).
  • Il Ragazzini 2023, Dizionario inglese-italiano, italiano inglese, di Giuseppe Ragazzini, Bologna, Zanichelli.
  • Alessio Ricci, Latinismi, Milano, RCS Mediagroup, 2020.
  • Il Sansoni inglese, dizionario inglese-italiano / italiano-inglese, Milano, Edigeo, 2018, consultabile dal sito del “Corriere della sera”.
  • Carmelo Scavuzzo, I latinismi nel lessico italiano, in Storia della lingua italiana, diretta da Luca Serianni e Pietro Trifone, 3 voll., Torino, Einaudi, 1993-1994, vol. II, Scritto e parlato, 1994, pp. 469-494.

Riccardo Gualdo

25 marzo 2024


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