Inficiare

Sono giunte al nostro servizio di consulenza alcune domande a proposito del verbo inficiare.

Risposta

Proverò a rispondere ai quesiti dei nostri lettori secondo questo ordine: come si usa il verbo inficiare? Qual è il suo significato? E, infine, come si coniuga?

Se consultiamo i dizionari dell’uso, scopriamo che ci troviamo davanti a un verbo transitivo, quindi la costruzione è: “qualcuno o qualcosa inficia qualcos’altro” (l’oggetto deve essere inanimato); nei verbi composti l’ausiliare è avere (per es. “questa scoperta ha inficiato la tua dichiarazione”) ed è ammesso il passivo (per es. “le sue parole sono inficiate dal suo stesso comportamento”).

Per quanto riguarda il significato, i dizionari sono concordi nel classificare questo verbo come un latinismo caratteristico dell’italiano del diritto e della burocrazia. Secondo il GRADIT Grande dizionario italiano dell'uso, la data di prima attestazione è il 1935, e il significato tecnico corrisponde a “invalidare, privare di validità o autenticità: inficiare una deposizione, una testimonianza, inficiare una decisione, un atto amministrativo”. Nella lingua di tutti i giorni, si tratterebbe di una parola “comune”, cioè compresa da chi ha un livello d’istruzione medio e superiore, nell’accezione di ‘privare di valore’. Secondo il Vocabolario Treccani online, per estensione, inficiare (classificato come “letterario”) significa ‘togliere valore’ a qualcosa, mentre il significato tecnico giuridico e burocratico sarebbe più sfumato: non solo ‘invalidare’, ma anche rendere “dubbia o sospetta la validità di un atto o di una asserzione”, quindi indebolirla. Dal canto suo, un vocabolario storico come il GDLI  (che riporta come prima attestazione di questo verbo un esempio del 1962) indica, per estensione, il significato non tecnico di “togliere valore a qualcosa; declassare, sminuire”.

A questo punto, il lettore che sostiene che “inficiare la validità” non rappresenta un uso corretto perché tautologico (si dice due volte la stessa cosa: “privare di valore la validità di qualcosa”) sembrerebbe aver ragione. Tuttavia, poiché è l’uso che fa la regola, per avere un’idea della frequenza di questa apparente tautologia ho cercato su Internet la stringa “inficia la validità” con Google, il motore di ricerca, ottenendo oltre 25.000 riscontri, per lo più su siti web di argomento giuridico e amministrativo. Per es.:

L’omessa iscrizione nel libro dei soci non inficia la validità e l’efficacia della cessione di quote tra le parti (www.dirittoegiustizia.it, 10/3/2014)

Tra i risultati della ricerca, lo stesso Vocabolario Treccani online, alla voce termine, riporta:

[...] che possono essere modificati dal giudice e, per estens., tutti i termini non perentorî, il cui mancato rispetto non inficia la validità degli atti compiuti; […].

Un’ulteriore conferma proviene da una fonte giornalistica autorevole come il “Sole24Ore”:  

Condominio - La nullità di una delibera non inficia la validità delle altre approvate nella stessa riunione, di Luana Tagliolini, 19/11/2020

Anche la ricerca su Google di una stringa analoga come “inficia il valore” produce oltre 7.500 risultati; per es. sempre il Vocabolario Treccani, alla voce abrasione, riporta:

Cancellatura fatta raschiando (spec. su pergamena); se fatta in [...] una scrittura pubblica o privata, ne inficia il valore probatorio.

Durante le ricerche, ho notato l’alta frequenza della forma negativa dei due costrutti: “non inficia la validità” compare su Google 17.200 volte, “non inficia il valore” oltre 4.800.

Mi sono dunque spostato sul servizio Ngram Viewer, che permette di ricercare singole parole o intere frasi in una grande raccolta di testi di diverso tipo scritti in italiano tra il 1800 e il 2019. Come prevedibile, in assoluto la forma negativa di inficia rappresenta circa la metà delle occorrenze (ovviamente, quando cerchiamo “inficia” su Ngram Viewer vengono contati anche tutti i casi di “non inficia”, ma non viceversa): 


Nel confronto, i costrutti negativi “non inficia la validità” e “non inficia il valore” risultano molto più frequenti, talvolta quasi pari al totale delle occorrenze delle forme individuate omettendo il “non”:


Da ultimo, l’Archivio della Lingua Legislativa Italiana LLI, una banca dati che permette la ricerca di lemmi su testi giuridici, ci fornice una conferma e una novità: la conferma è che il costrutto “non inficiare la validità”, per quanto tautologico, è usato spesso; la seconda è che questo verbo compare nell’italiano giuridico ben prima di quanto segnalato dai dizionari: la prima attestazione è del 1894 (in realtà risulta un’attestazione del 1698, ma il contesto d’uso non è chiaro e per il momento soprassediamo), nel Trattato delle prove in materia civile di Carlo Lessona, in cui si legge “le parole aggiunte possono dirsi superflue, ma non possono per nulla inficiare la validità dell’atto”.

Insomma, per rispondere al nostro lettore, possiamo concludere che, anche se in base ai significati del verbo riportati nei dizionari italiani si tratta di una tautologia, il costrutto “inficiare la validità di qualcosa” viene utilizzato con una certa frequenza, soprattutto nella forma negativa, anche dagli esperti di diritto e amministrazione, cioè delle varietà specialistiche dell’italiano che per prime hanno introdotto questa parola nella lingua.

Per finire, qualche osservazione su coniugazione, ortografia e pronuncia. La regola generale, come dicono tutte le grammatiche (per es. Serianni 1988, XI § 71.b, p. 345) prevede che “i verbi uscenti in -ciare e -giare perdono la i, che ha soltanto valore diacritico [...], davanti a vocale anteriore: rinuncerò, mangerai”. Quindi, per rispondere ai nostri lettori, le forme corrette sono inficerei e inficerò. Questo perché la i serve solo a indicare che la lettera c assume un suono “dolce” (come in cinema o cera) e non “duro” come in cavolo, cuoio, coltello, chimono o chela. Tecnicamente nel primo caso si parla di affricata postalveolare sorda, nel secondo di occlusiva velare sorda.

Insomma, si tratta solo di un modo di rappresentare suoni diversi dell’italiano tramite combinazioni di lettere – per cui non ha senso mantenere la i quando la c diventa automaticamente “dolce”, come nel caso di inficerei: la grafia inficierei non ha giustificazione fonetica. Esistono tuttavia casi in cui la i si mantiene anche se non modifica la pronuncia, per es. in sogniamo, in cui la i è necessaria perché la desinenza della prima persona plurale del presente indicativo in italiano è -iamo (si veda la scheda in proposito), anche se la pronuncia è sognamo e a scuola si insegna che dopo il gruppo gn la i non ci va, come in campagna. In effetti la grafia sognamo è abbastanza diffusa e non è detto che in futuro questa forma non venga definitivamente accettata.

Stefano Ondelli

11 marzo 2024


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