Stage e tirocinio

Da diverse parti d’Italia ci giungono domande a proposito dei termini stage e tirocinio. Si chiedono chiarimenti sul significato e l’origine di stage (Pierangelo Casini da Arezzo), sul modo in cui sia preferibile pronunciarlo, se alla francese o all’inglese (Michele Di Vico di Telese Terme, Benevento, Erika Schmidt di Vicenza e Maria Rosaria Di Domenico), sulla maggiore correttezza della forma stageur o stagiaire (Salvatore Acciardi da Catania). Si domanda inoltre se ci siano differenze fra tirocinio e stage (Luciana Torcinovich da Piombino Dese, Padova, e Cinzia Imazio da Mediglia, Milano) e se necessariamente il tirocinio debba avvenire post-lauream (Silvia Bazzanti Balucani da Magione, Perugia).

Risposta

Stage e tirocinio

 

Secondo la definizione data dal GDLI la parola tirocinio ha il significato fondamentale di ‘addestramento compiuto da un principiante, per lo più sotto la guida di un esperto, necessario per imparare a esercitare un’attività, una professione, un’arte o una disciplina’ e di ‘periodo in cui si effettua tale preparazione’. GRADIT, Sabatini-Coletti 2008 e Devoto-Oli 2008 concordano nel definirlo in primo luogo un periodo di preparazione all’esercizio di un mestiere. Per quanto riguarda la parola stage, GDLI riporta ‘periodo di formazione o perfezionamento professionale trascorso presso un’università o un’azienda, in particolare per acquisire la preparazione professionale necessaria a svolgere un’attività’.

I significati delle due parole sembrano sostanzialmente sovrapponibili: tirocinio viene a volte segnalato come sinonimo di stage (Sabatini-Coletti 2008), oppure come termine che sarebbe opportuno utilizzare al suo posto (Devoto-Oli); non avviene l’inverso, evidentemente perché stage è un termine di origine non italiana, entrato in uso nella nostra lingua in un periodo relativamente recente (come vedremo, negli anni Sessanta del Novecento). La sinonimia tuttavia non è completa, se si considera che stage, ma non tirocinio, può indicare anche un ‘breve corso tenuto da un artista o un maestro ad un gruppo di dilettanti appassionati di una determinata arte: uno stage di mimo’ (F. Palazzi, G. Folena, Dizionario della lingua italiana, Loescher, 1992), mentre tirocinio potrebbe riferirsi all’ ‘addestramento delle reclute’, se lo utilizzassimo nella descrizione di un esercito dell’antica Roma (Sabatini-Coletti 2008).


Tirocinio deriva dal latino tirocinium, composto da tirone(m), ‘recluta’, ‘principiante’ e dal suffissoide -cinium (da canere), ed è stato coniato in ambiente militare sul modello di tubiciniu(m) ‘suonatore di tuba(m), tromba’, con il significato di ‘sveglia delle reclute’  e quindi ‘apprendimento, iniziazione, inesperienza’ (DELI).
La parola tirocinio ha fatto la sua comparsa nella letteratura italiana portando con sé fin dall’inizio una rosa di accezioni piuttosto ampia, dominata dall’idea dell’inesperienza e della necessità di acquisire padronanza e competenze. Alla fine del XV secolo viene utilizzata nell’Hypnerotomachia Poliphili, opera attribuita a Francesco Colonna e scritta in un italiano misto a latino, nel significato di ‘impegno, assiduità, in particolare nel praticare un culto’. Poco più tardi (1504) Diomede Guidalotti pubblica il suo Tyrocinio de le cose vulgari, indicando con la parola l’‘acquisizione dei primi, fondamentali
elementi di una disciplina’. Galileo Galilei la utilizza nella Difesa contro il Capra (1607), intendendo con essa l’‘opera di un principiante, che rivela delle conoscenza ancora superficiali e approssimate’. I contesti d’uso sono svariati, ma di frequente tirocinio si sposa con l’idea della faticosa acquisizione di un sapere, assumendo talvolta sfumature drammatiche: nel 1689 per Francesco Fulvio Frugoni “la vita è il tirocinio della morte”. La prima occorrenza del senso in cui principalmente utilizziamo la forma oggi è della seconda metà del Settecento, nelle Lettere scelte sull’agricoltura, sul commercio e sulle arti di Antonio Zanon.


La forma stage (estage) affonda le proprie radici nel latino medievale di area francese: stagium facere – dove stagium indicava la dimora e l’atto del risiedere (dal latino stare) – significava ‘habiter le lieu auquel est rattaché un bénéfice [aver dimora in un luogo al quale è legato un beneficio]’ (Le Trésor de la Langue Française). In origine l’espressione sembra legata all’ambiente feudale e indicava la permanenza di un vassallo presso la dimora del signore, allo scopo di assolvere servizi legati all’ottenimento del beneficio feudale. E infatti con stagium concedere, dove concedere vale ‘condonare’, si intendeva ‘donare a un beneficiario il permesso di non risiedere’.

La prima occorrenza nella tradizione letteraria francese si registra nelle Mémoires di François de Bassompierre (XVI secolo), nelle quali il “séjour qu’un noveau chanoine doit faire pendant un temps minimum dans le lieu de son église pour pouvoir jouir des honneurs et des revenus de sa prèbende” [soggiorno che un nuovo canonico deve fare per un lasso di tempo minimo presso la propria chiesa per poter godere degli onori e delle entrate della sua prebenda] è proprio lo stage. Il termine passa così nel vocabolario del diritto canonico e solo successivamente, agli inizi del XX secolo, perde la propria connotazione tecnica e giunge a indicare l’impiego temporaneo in una qualsiasi impresa, destinato a completare un insegnamento attraverso l’esperienza pratica. A differenza di tirocinio, in cui risuona l’idea della necessità di “fare la gavetta” per supplire alla propria incompetenza, lo stage sembra legato al concetto feudale della ricompensa e del dono ricambiato.


In inglese i significati correnti di stage come ‘momento, periodo o fase di un processo’, ‘piano di un edificio’ e ‘palcoscenico’ si attestano nel XVII secolo, ma la parola era già entrata nel Middle English dall’antico francese estage. Nel suo significato originario lo stage inglese, come l’estage francese, denota un ‘sostare’ (dwelling). Della stessa parola l’inglese moderno quindi percepisce e tramanda il senso materiale, fisico e temporale, perdendo per strada l’idea medievale dello scambio di benefici, che invece sembra mantenersi in francese. Lo stage inglese diventa quindi effettivamente, da generico punto di sosta, una porzione precisa e misurabile di spazio o di tempo.


La voce entra nella nostra lingua nel Novecento: nell’Appendice alla decima edizione del Dizionario moderno di Alfredo Panzini (1963), Bruno Migliorini lo definisce la ‘fase d’un addestramento consistente nel trascorrere un periodo di tempo in un dato ufficio per imparare il lavoro che vi si svolge’ e le attribuisce origine francese; tuttavia secondo alcuni (DELI) è giunta all’italiano attraverso la mediazione dell’inglese. Da qui sorge il problema della pronuncia in italiano: la maggioranza dei vocabolari suggerisce come preferibile la pronuncia francese, ma allo stesso tempo registra come ammissibile e frequente quella inglese. Se in Italia ci si può ragionevolmente attendere di essere compresi pronunciando stage sia alla francese sia all’inglese, è però sconsigliabile pronunciarlo all’inglese in Gran Bretagna; a meno che con make a stage non si voglia intendere, in un inglese a dire la verità approssimativo, ‘allestire un palcoscenico’. Se in Francia infatti lo stage è pressappoco un tirocinio (fatte salve le differenze legislative), in Gran Bretagna la stessa attività è indicata dal termine internship.


Attualmente la prassi di effettuare uno stage o un tirocinio allo scopo di acquisire competenze lavorative è molto diffusa in Italia e all’estero; tuttavia, almeno in Italia, pare purtroppo essersi perduto il retaggio francese della ricompensa dovuta. La normativa italiana di riferimento (Legge “Treu” 196, 24 giugno 1997, e D. M. 25 marzo 1998, n. 142) precisa infatti che i tirocini “non costituiscono un rapporto di lavoro” e quindi invece di retribuzione bisogna parlare, in caso di pagamento, di “rimborso spese”. In generale, comunque, negli usi linguistici di ambito giuridico stage e tirocinio
sono sinonimi e designano attività svolte “al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro”. Si nota però una netta prevalenza dell’uso della forma tirocinio.


Anche in ambito universitario i due termini sono sinonimi: sui siti di Ateneo (si veda, per esempio, il sito della Sapienza di Roma o dell’Università degli Studi di Firenze) la sezione “Stage e tirocini” è molto spesso presente, e ovunque i due termini costituiscono una coppia sinonimica. Nell’uso delle due parole permane una certa vaghezza, poiché le tipologie di esperienza che ricadono nell’estensione dei due termini sono varie: il tirocinio può essere svolto pre- o post-lauream; in entrambi i casi può costituire un’attività curriculare obbligatoria, oppure può consistere nella sostituzione facoltativa di un esame. Nel caso del tirocinio facoltativo l’esperienza formativa può essere svolta presso aziende, istituzioni pubbliche o private, spesso convenzionate con l’Ateneo, e, in alcuni casi, presso l’Ateneo stesso. Il caso del tirocinio universitario obbligatorio si presenta tipicamente nelle facoltà di Medicina, ma anche in quella di Psicologia, in cui l’esperienza è necessaria ai fini del conseguimento della laurea e dell’abilitazione a svolgere la professione: è opportuno segnalare che per designare questo tipo di attività non viene utilizzata la parola stage. Nel caso di Giurisprudenza, o delle facoltà che preparano al giornalismo, si parla invece di praticantato.


Nell’odierno proliferare di curricula ricchi di esperienze formative di questo tipo, è frequente imbattersi nella mansione di stageur; in realtà, nonostante le apparenze, la parola “vive” solo in Italia, dove si è apposto un suffisso francese a una parola di origine francese. È opportuno segnalare che il termine non compare nei dizionari e neppure in repertori come in G. Adamo, V. Della Valle, Parole Nuove, Sperling & Kupfer, 2006, I Neologismi del Vocabolario Treccani, 2009, o in E. Bianchini, Italiano Straniero, Guerra, 1999. In Francia, tuttavia, per la stessa parola si utilizza il suffisso -aire (suffisso che corrisponde all’italiano -ario, e prevalentemente si utilizza in entrambe le lingue nella formazione dei nomi per designare il titolare di un diritto, chi “riceve” in opposizione a chi “dà”, nel nostro caso quindi forse ancora sulla scia semantica dell’idea dello scambio di favori). Quindi, esattamente come nel caso del pronunciare stage all’inglese in Gran Bretagna, raccontare la propria attività di “stageur” in Francia sarebbe poco opportuno: meglio utilizzare “stagiaire”.


In italiano si è preferito formare la parola corrispondente apponendo il suffisso -ista, tra i più utilizzati per i nomi di chi svolge un’attività. Tale forma risulta la più attestata nell’italiano corrente (da una ricerca condotta con Google su pagine in italiano la parola stagista ricorre 2.240.000 volte), ma
l’impropria stageur (221.000 risultati alla stessa data) supera stagiaire (123.000), andando a infoltire la schiera dei cosiddetti “falsi forestierismi”.

 

A cura di Simona Cresti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

23 gennaio 2012


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