L'appello dei 48

L'accademico Carlo Alberto Mastrelli propone una riflessione sul valore del bilinguismo paritario in Alto Adige.

NOTA DELLA PRESIDENZA DELL’ACCADEMIA
Il testo che segue è stato scritto da Carlo Alberto Mastrelli, il decano degli Accademici della Crusca, studioso che vanta una lunga esperienza sulla materia che qui si discute (professore emerito di Glottologia all’Università di Firenze: indeuropeista, classicista, germanista, romanista, italianista. Consulente scientifico del Grande Vocabolario italo-polacco, voll. 5, Varsavia 2001-2010; coautore con Sv. Bach e J. Brunet del Quadrivio romanzo, Firenze, Accademia, 2008.– Dal 1968 al 1994 direttore dell’“Archivio Glottologico Italiano” e dal 1969 presidente dell’Istituto di Studi per l’Alto Adige.
Va precisato che il cosiddetto “Appello dei 48” di cui qui si parla è stato firmato a titolo individuale da un certo numero di Accademici, tra cui il Presidente e i membri del Direttivo. Non esiste per ora una posizione formalmente espressa da parte del Collegio accademico nella sua interezza sulla difesa della toponomastica italiana nella Provincia autonoma di Bolzano, ma esiste una presa di posizione comune del Direttivo a favore dell’ “Appello dei 48”, formalmente assunta il giorno 17 ottobre 2016.
È possibile che alcuni giudizi del prof. Mastrelli suscitino qualche distinguo, in particolare per quanto riguarda la valutazione della figura del geografo e senatore Ettore Tolomei e la sua attività, svoltasi nel clima dell’irredentismo e del nazionalismo di un secolo fa; ma il Direttivo dell’Accademia è comunque concorde con il prof. Mastrelli sull’inopportunità di intervenire oggi, a tale distanza cronologica da quegli atti di politica linguistica, turbando una ben regolata normativa di plurilinguismo che ha assicurato la pacifica e serena convivenza tra gruppi diversi, tanto da essere ormai un valore sociale stabile ed esemplare nella provincia di Bolzano, e un modello per altre comunità.

 

Novembre 2016

Carlo Alberto Mastrelli

 

L’importante “Appello dei 48”, com’è stata ribattezzata la lettera aperta che quarantotto accademici italiani e tedeschi hanno rivolto un mese fa alle Istituzioni della Repubblica per salvare i nomi italiani della toponomastica bilingue in Alto Adige, è nato da una notizia sconcertante: l’esame, da parte della Commissione paritetica Stato-Provincia autonoma di Bolzano, detta Commissione dei Sei, di una ipotesi di norma d’attuazione di rango costituzionale che avrebbe aperto le porte alla cancellazione del sessanta per cento (almeno!) del patrimonio storico e linguistico italiano in vigore da quasi un secolo in Alto Adige.
Ho scritto “avrebbe” perché, proprio la ferma, fondata e documentata presa di posizione di professori e studiosi totalmente estranei a qualsivoglia gioco politico, ma tutti consapevoli del valore della Costituzione e del patrimonio culturale bilingue italiano-tedesco come un modello esemplare nell’Europa di nuovi e vecchi muri, ha portato alla sospensione, almeno per ora, dei lavori della Commissione che già venivano considerati “cotti e mangiati” nel silenzio generale. Proprio il grave rischio linguistico e giuridico paventato nell’Appello, ripreso da una notevole quantità di mezzi di comunicazione nazionali e locali, ha indotto tutti i diretti e anche indiretti interessati a una più attenta riflessione. Ma il pericolo che in una parte della Repubblica la sua lingua ufficiale venga cancellata dalle dizioni di migliaia di toponimi bilingui, oltretutto toponimi ufficiali riconosciuti dalla legge e dalla gente da quasi cent’anni, non è scampato. E allora provo a sintetizzare i termini della grave questione.

1) Con l’Accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946 l’Italia introduceva “l’uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana (…) nella nomenclatura topografica bilingue” in Alto Adige.

2) Col primo Statuto regionale del 1948 e col secondo Statuto provinciale del 1972 oggi in vigore, tale obbligo della toponomastica nella forma italiano-tedesca è stato trasformato in legge costituzionale. La Provincia può legiferare sul tema, “fermo restando l’obbligo della bilinguità nella Provincia di Bolzano”. Può legiferare, inoltre, non già sradicando dall’ordinamento le secolari dizioni italiane dai nomi bilingui, ma dando ufficialità ai toponimi tedeschi e ladini, come espressamente stabilito dagli articoli 101 e 102: “Nella Provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l’esistenza ed approvata la dizione”.

3) Nonostante la chiarezza del quadro normativo dello Statuto d’autonomia speciale e costituzionale che, parificando il tedesco all’italiano, precisa che l’italiano “è lingua ufficiale dello Stato” e perfino che, in caso di dubbio, l’italiano “fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente Statuto è prevista la redazione bilingue” (articolo 98), la Provincia ha tentato ciò che non poteva né doveva: abolire per legge gran parte della secolare toponomastica italiana. Tale tentativo s’è trasformato in una legge subito impugnata dall’allora governo-Monti. Legge all’esame della Corte Costituzionale dal 2012!

4) Contrariamente a quanto si afferma a volte erroneamente, la grande maggioranza delle dizioni italiane non è affatto “fascista”. I nomi sono il risultato di lavori competenti e di ricerche meticolose molto precedenti, dai primi anni del Novecento in avanti, ad opera di diversi studiosi, cominciando da Ettore Tolomei che già nel 1906 fondava la rivista “Archivio per l’Alto Adige”. Quei nomi trovarono nel “Prontuario dei nomi locali dell’Alto Adige” del 1916 (Reale Società Geografica) la loro prima elencazione bilingue: oltre cinquemila toponimi per la prima volta anche nella forma italiana, e che sarebbero stati poi resi ufficiali col Regio Decreto del 29 marzo 1923. Convalidato, quasi vent’anni dopo, dal Decreto Ministeriale del 10 luglio 1940, che ufficializzava la terza e più ampia (ottomila toponimi) edizione, sempre bilingue, del Prontuario del 1935. Decisivo e straordinario fu il contributo di Carlo Battisti, cosa che si tende, ingiustamente ma non per caso, a dimenticare. Ben undici furono i criteri utilizzati, all’epoca, per rendere in italiano i nomi di luogo dell’Alto Adige. Dalla traduzione al mantenimento del nome con adattamento fonetico o grafico. Dal mantenimento della forma dialettale italiana alle riprese, con adattamento o senza. E dal 1946, ossia da settant’anni, l’ufficialità dei nomi un tempo utilizzati nella sola dizione italiana è diventata pienamente bilingue: italiana e tedesca, e trilingue nelle zone ladine. Dunque, saggiamente la Repubblica non ha cancellato né privilegiato nomi e tradizioni: li ha messi tutti sullo stesso piano uno accanto all’altro all’insegna del rispetto e della ricchezza, consentendo così a ciascuno di pronunciare nella propria lingua italiana o tedesca i nomi di luogo condivisi.

5) Altro equivoco: il tentativo di selezione linguistica in corso non riguarderebbe nomi di luogo rilevanti come Bolzano, Merano e Bressanone, concentrandosi solo sulla toponomastica meno conosciuta o lontana (picchi di montagna, ruscelli minori ecc.). Ma a parte il fatto che i criteri immaginati per distinguere ciò che non si può distinguere, ossia come separare il micro dal macro, sono comunque contrari alla lettera e allo spirito della Costituzione, l’eliminazione dei toponimi meno conosciuti sarebbe comunque atto grave.

6) L’”Appello dei 48”, dunque, rappresenta la rigorosa e vigorosa difesa della civiltà del bilinguismo paritario, che non solo aiuta la convivenza, ma è anche un mezzo efficace nel favorire una reale ed effettiva intercomprensione fra le comunità presenti in Alto Adige, sollecitandole alla mutua conoscenza linguistica, e con ciò assolvendo pienamente a una funzione civica, istituzionale e pedagogica.
 

 

Allegati


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Un nuovo appello per salvare i nomi italiani in Alto Adige ("formiche.net")
scresti_redattore
17 gennaio 2017 - 00:00

Intervento conclusivo di Carlo Alberto Mastrelli
Al testo firmato da Flavio Martinelli del 18 novembre 2016 ha replicato in maniera storicamente e scientificamente corretta la Lettrice informata dei fatti in data 22 novembre 2016, anche se molte altre considerazioni potrebbero essere aggiunte a sostegno delle sue giuste osservazioni. L’Anonimo del 22 novembre 2016 espone riflessioni interessanti, che tuttavia non riguardano le specifica questione dell’Alto Adige. Successivamente il 3 dicembre 2016 il Mathieu riprende l’argomento valdostano e si domanda perché la questione toponomastica della Val d’Aosta sia stata risolta in maniera diversa da quella altoatesina; non è qui il caso di illustrare tutti i motivi, mi preme però sottolineare l’argomento linguistico che sovrasta tutti gli altri: il francese e il francoprovenzale sono idiomi di origine latina come l’italiano e quindi sono facilmente intercomprensibili. La questione che sottopone Stefano Di Brazzano il 19 dicembre 2016 è senza dubbio di grande e grave rilievo, ma purtroppo ora non la possiamo trattare; raccomanderò ai colleghi di prendere al più presto qualche iniziativa per esaminare quali siano i risultati conseguiti con la Legge sulle minoranze linguistiche (Gazzetta Ufficiale n. 297 del 20 dicembre 1999, n. 482); è ora infatti che si veda quanto hanno risposto le amministrativi ivi preposte, cosa ne pensano le popolazioni interessate e gli studiosi competenti in materia.
Al termine di queste risposte, desidero esprimere i più vivi ringraziamenti a quanti hanno voluto manifestare il loro assenso per telefono o per posta all’Appello dei 48, ma mi preme anche sottolineare che, nella questione della toponomastica dell’Alto Adige, il bilinguismo, a tanti anni di distanza e nel contesto dell’Europa unita, non va inteso come contrapposizione etnica, bensì come mezzo istruttivo che aiuta l’intercomprensione, specialmente italo-tedesca.
Infatti:1) anzitutto le due lingue non hanno le stesse strutture; inoltre mentre un tedesco in Alto Adige ha a che fare con degli italiani non dialettofoni, gli italiani si trovano a contatto con una popolazione tedesca che nella scrittura usa lo Hochdeutsch, ma poi parla un dialetto Oberdeutsch, molto distante dal tedesco standard; 2) non ha alcun senso parlare di toponimi storici, pensando che la storia cominci solo con la nomenclatura tedesca: tutti i toponimi sono storici, di varia stratificazione: a) preindeuropeo (retico, norico), b) celtico (età del ferro), c) latino, d) ladino-tedesco-italiano; d) anche una spruzzatina di inglese è adesso presente; 3) i microtoponimi, soprattutto in Alto Adige, sono di grande rilevanza, essi vanno quindi conservati: il turismo estivo ed invernale è così esteso che comprende quasi tutte le località (fra le quali moltissimi microtoponimi) di tutte le valli interessate agli sport di montagna (alpinismo, canyoning, freeride, mountain bike, parapendio, rafting, sci, speleologia, trekking, ecc.); ci risulta che nel 2015 ci siano stati circa 30 milioni di pernottamenti (21 milioni di stranieri, 9 milioni di italiani).
Come si vede, i molteplici problemi della toponomastica devono essere affrontati da persone di grande preparazione storico-culturale-linguistica.

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Stefano Di Brazzano
19 dicembre 2016 - 00:00
Si parla tanto dell'Alto Adige ma tutti ignorano ciò che è accaduto in Venezia Giulia. Nel 2002 il comune di San Dorligo della Valle, provincia di Trieste, avvalendosi di una norma che consente ai comuni di cambiare le denominazioni dei singoli centri abitati compresi nel loro territorio senza tuttavia alterare la denominazione del comune, ha unilateralmente soppresso il nome italiano del suo principale centro abitato, denominato come il comune "San Dorligo della Valle", lasciando unicamente la denominazione slovena "Dolina". Il pretesto fu, come sempre, che il nome "San Dorligo" sarebbe stato imposto dal governo fascista nel 1923. In realtà, se è vero che prima di quella data la popolazione locale, sia slovena sia italiana, era solita chiamare il villaggio con il nome sloveno, è altrettanto vero che il toponimo italiano non è affatto un'invenzione fascista, essendo attestato nella forma "villa de Sancto Oderigo" fin dal 1446, mentre il toponimo sloveno "Dolina", benché destinato a maggior fortuna, compare più tardi. All'epoca però tutti presero per buona la motivazione addotta dall'amministrazione comunale: né dall'Università di Trieste né dalla Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia si levò obiezione alcuna, sicché oggi la denominazione ufficiale del comune resta "Comune di San Dorligo della Valle / Občina Dolina", ma la denominazione dell'abitato principale è solo "Dolina". Seicento anni di storia cancellati nell'indifferenza generale.

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Anonimo
22 novembre 2016 - 00:00
Solo perché non si faccia credere alla gente che in Valle di Susa ci siano unicamente toponimi francesi, citerò alcune località, comuni valichi e montagne con nome italianissimo, che nessuno ha mai pensato di abolire: Cesana,Chiomonte, Bussoleno, Foresto, Villar Focchiardo, Monginevro, Moncenisio, Rocciamelone (la montagna più bella della valle), Punta Sella, Monte Arpone. Ora un po' di nomi di montagne della Valle d'Aosta, che mai nessuno ha cercato di sbattezzare: Monte Rosa, Monte Bianco, Cervino, Gran Paradiso, Grivola, Testa Grigia, colle della Bettaforca, punta Gnifetti, Castore, Polluce, Punta Giordani, Bettolina, Cime Bianche. Doppio nome Breuil-Cervinia. Evidentemente Si può convivere benissimo con un po' di nomi italiani e con un po' di nomi francesi. Basta un po' di serenità.

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Mathieu
03 dicembre 2016 - 00:00
Sì, ma sono quasi tutti toponimi univoci. I nomi italiani inventati per sostituire quelli storici francesi, con chiaro intento oppressivo, sono stati aboliti nel 1946! In SudTirolo, dove il problema etnico è molto più difficile, sono stati invece mantenuti... Domandiamoci perché. Sono valdostano e le assicuro che si può benissimo convivere con dei toponimi non italiani, se questi sono quelli storici. Basta un po' di serenità.
Flavio Martinelli
18 novembre 2016 - 00:00
Mi permetto di inviare in allegato un contributo del noto antropologo ed ex Presidente del Club Alpino Italiano Annibale Salsa apparso sul quotidiano L'Adige di Trento in data 13/11/16 in merito alla nota vicenda dei toponimi italiani introdotti durante il fascismo da Ettore Tolomei. Come noto il territorio dell'Alto Adige/Sud Tirolo alla fine della 1a Guerra Mondiale è passato all'Italia in spregio alla "dottrina" Wilson che prevedeva l'autodeterminazione dei popoli e per la rettifica delle frontiere italiane auspicava che fosse fatta secondo linee di demarcazione chiaramente riconoscibili tra le nazionalità. All'epoca la popolazione dell'Alto Adige/Sud Tirolo era di lingua tedesca per circa il 95% e quindi il passaggio all'Italia è avvenuto contro la volontà della popolazione dato anche che non venne fatto alcun "referendum". E' risaputo, come risulta da dichiarazioni di Alcide Degasperi, che persino la popolazione di lingua italiana del vicino trentino (Tirolo italiano) era di simpatie filo austriache e che in un eventuale referendum si sarebbero espresse contro il passaggio all'Italia. Le due provincie erano state infatti per secoli sotto l'influenza politica e cultuirale asburgica per la quale in larghissima maggioranza simpatizzavano. Il fascismo volendo italianizzare l'Alto Adige/Sud Tirolo, fra gli altri provvedimenti, introdusse forzatamente diversi toponimi italiani che non avevano alcun riferimento con la storia e la cultura locale e che furono inventati di sana pianta da Ettore Tolomei. Fu persino introdotto il divieto dell'insegnamento della lingua italiana nelle scuole da cui nacque l'esperienza delle "Katakonben Schulen" che unvito gli esperti dell'Accademia Crusca ad andare ad approfondire. In Alto Adige/Sud Tirolo, grazie all'accordo Degasperi/Gruber della fine della 2a Guerra Mondiale, alla collaborazione Austro Italiana e agli Statuti di Autonomia si è creato una pacifica ed invidiabile situazione di convivenza fra la popolazione italiana e la popolazione tedesca. Risulta persino che molti italiani votano per il partito della Suedtiroler Volks Partei e che mandano i loro figli alle scuole materne ed elementare di lingua tedesca perchè capiscono che il bilinguismo è molto importante e non solo per le possibilità di lavoro. A me sembra del tutto naturale che i sudtirolesi vogliano rivedere i toponim introdotti forzatamente durante il regime mussoliniano e mi risulta che contrari sono soprattutto i partiti che si riallacciano a quella disastrosa e tragica esperienza politica. Ringrazio per l'attenzione e porgo distinti saluti. Flavio Martinelli Rovereto (TN) Allegato Articolo Annibale Salsa F in dall'approvazione del «Pacchetto» di norme per l'autonomia della Provincia di Bolzano (anno 1972), uno dei punti non ancora del tutto risolti nella delicata «questione sudtirolese» riguarda la toponomastica, con particolare riferimento alla micro-toponomastica. La chiusura della vertenza, anche in previsione del futuro terzo Statuto, passa proprio attraverso la definizione dei toponimi di quella terra a noi così vicina. Nello scorso mese di ottobre, la prestigiosa Accademia della Crusca si è pronunciata a favore del mantenimento e della valorizzazione, quale bene culturale (sic!), dei toponimi italiani introdotti in Sudtirolo negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Come noto, quella è stata un'operazione di «italianizzazione forzata» cui pose mano con inusuale accanimento, già da fine Ottocento, il nazionalista roveretano di origini toscane Ettore Tolomei, autore del noto «Prontuario». La notizia mi ha lasciato esterrefatto. Mai avrei immaginato che la prestigiosa Accademia intervenisse, con la sua autorevolezza, per difendere un insieme di toponimi culturalmente e linguisticamente indifendibili. Mi sarei piuttosto aspettato un fermo pronunciamento nei confronti di un eccessivo impiego di «inglesismi», vera patologia bulimica che sta inquinando pericolosamente la ricca lingua italiana senza giustificati motivi, a parte qualche comprensibile eccezione. Niente a che vedere, ovviamente, con un ingiustificato purismo linguistico del tutto privo di senso perché ignaro del carattere evolutivo e dinamico della lingua stessa. Quando si fa riferimento al Sudtirolo bisogna ricordare con quanta violenza il governo ultranazionalista del ventennio impose l'uso di toponimi in gran parte inventati di sana pianta, con il solo scopo di sostituire gli storici toponimi tedeschi e di umiliare una cultura millenaria nel segno di un malinteso ideale patriottico. Se si esclude il toponimo «San Lugano» al confine con la Val di Fiemme - l'unico storicamente italofono in Provincia di Bolzano (e pertanto da mantenere come tale) - tutti gli altri toponimi appartengono alla nomenclatura tedesca e ladina. È pur vero che nel secolo XIX, allorquando l'irredentismo trentino incomincia a preoccupare la Dieta tirolese, l'Associazione «Tiroler Verband» avvia un programma di traduzione tedesca dei nomi dei Comuni trentini. Anche in questo caso, beninteso, valgono le stesse considerazioni. Perfino la Francia, da sempre decisa a difendere la francofonìa mediante l'estromissione di molti termini anglofoni di uso comune quali, ad esempio, «password» (sostituita da «mot-de-passe»), ha rinunciato a tradurre i toponimi della Corsica. Negli anni Ottanta, inoltre, lo Stato francese ha riportato nella forma italofona alcuni toponimi di località acquisite dall'Italia con il Trattato di Parigi del 1947 come «Casterino», «Viévola» e «Isola» nelle Alpi Marittime. L'effetto «Tolomei» non ha risparmiato, in versione occidentale, il Piemonte e la Valle d'Aosta, sottoposti anch'essi alla forzata italianizzazione dei toponimi storici francofoni. Artefice dell'operazione è stato il parlamentare pistoiese Giovenale Vegezzi-Ruscalla che, nell'anno 1861, presenta una legge di traduzione dei toponimi al nuovo Parlamento italiano di Torino. Il governo di Mussolini completerà l'operazione durante il ventennio fascista. Finita la guerra, la promulgazione della Costituzione repubblicana riconoscerà alle minoranze linguistiche il diritto all'uso della loro lingua, equiparandola all'italiano. Ma una cosa è il bilinguismo, che deve essere garantito nell'uso scritto e parlato, altra cosa è la toponomastica locale. Infatti, mentre nella Provincia di Bolzano viene confermata dall'Italia repubblicana e democratica la toponomastica del Prontuario del Tolomei, pur con l'aggiunta dei toponimi tedeschi, in Valle d'Aosta si ritorna alla toponomastica storica francofona. Nessun toponimo italofono compare nell'elenco ufficiale dei Comuni della «Vallée», ad eccezione del capoluogo Aosta. Anche in Piemonte molti consigli comunali hanno votato, nel secondo dopoguerra, il ritorno alla forma storica dei toponimi (Oulx, Exilles, Usseaux, Salbertrand, Beaulard ecc.). A questo punto, per par condicio, consiglierei a molti Accademici della Crusca ed a quei cittadini della comunità italofona della Provincia di Bolzano che hanno plaudito al pronunciamento della stessa (ivi compreso il Cai-Alto Adige, da sempre su questa linea), di farsi una gita di studio in Valle d'Aosta. Potranno così scoprire che, in un'altra regione alpina con competenza primaria sulla toponomastica, l'approccio è completamente diverso e nessun turista o escursionista, a quanto mi risulta, si è mai perso sui sentieri valdostani per il solo fatto di non conoscere la lingua francese.

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Lettrice informata dei fatti
22 novembre 2016 - 00:00
È sorprendente la superficialità con cui molti amano pontificare sulla storia dell’Alto Adige, spesso riferendola in maniera incompleta e parziale. O magari, utilizzando il paravento di opinioni altrui, del tutto legittime quanto del tutto discutibili. Opinioni o giudizi chiaramente influenzati dalla propaganda politica diffusa in modo ossessivo da alcuni partiti (abilissimi nel collocarsi dalla parte della vittima, pur governando la Provincia di Bolzano, cioè gestendola a loro piacimento, da quasi settant’anni). 1) L’Alto Adige fa parte dell’Italia non in virtù di un capriccio o per dispetto al signor Wilson, bensì sulla base del Patto di Londra del 1915. All’articolo 4 si prevede e si descrive con chiarezza che in caso di vittoria, all’Italia sarebbe stato riconosciuto il territorio a Sud del Brennero. Confine naturale, come la geografia e una parte rilevante degli irredentisti dell’epoca -compreso l’ultimo Cesare Battisti- rivendicavano. 2) I censimenti austriaci sulla composizione mistilingue di quei territori da sempre “di confine” erano così attendibili, che conteggiavano i ladini tra i “tedeschi”…Neppure la germanizzazione dell’area pur così profonda e tanto a lungo durata, riuscì a cancellare completamente una presenza italiana a Bolzano e a Merano. Ma il punto non era la popolazione, di evidente, ovvia e larghissima maggioranza “tedesca” fino alla fine della Grande Guerra (1918). Ciò che l’Italia rivendicava era il territorio. E lo faceva per ragioni strategiche, geografiche, militari e storiche, visto che non mancavano tra i patrioti e letterati quanti consideravano il Brennero come il coronamento necessario dei sogni risorgimentali. Quanto al Trentino che fosse italiano anche per popolazione e lingua parlata nessuno osa seriamente dubitarlo. 3) L’Accordo De Gasperi-Gruber (1946) riparò proprio al torto di aver abolito la toponomastica tedesca dall’uso ufficiale. Tant’è che da settant’anni vige l’obbligo anche costituzionale della toponomastica italiano-tedesca (e italiano-tedesca- ladina ove esista). 4) Come il professor Mastrelli ha spiegato, la maggior parte dei toponimi italiani non è affatto “fascista”, perché frutto di studi e lavori dei primi del Novecento sfociati nel primo Prontuario del 1916. Quando il fascismo neppure esisteva. 5) Ogni controversia è stata risolta dall’Accordo De Gasperi-Gruber, che ha definitivamente legittimato i toponimi italiani da più di vent’anni -in quel momento- usati dalla popolazione, ufficiali e vigenti nello Stato. Accanto a ciò fu saggiamente consentito l’uso, su di una base di parità assoluta e inderogabile, dei toponimi tedeschi “se la legge provinciale ne abbia accertata l’esistenza ed approvata la dizione” (articolo 101 del successivo Statuto speciale di autonomia, in vigore dal 1972). 6) Solo chi non conosce nulla di linguistica, onomastica, etimologia può dire che i toponimi italiani siano sbagliati. Anche i maggiori accademici del mondo tedesco (un nome per tutti: Johannes Kramer) hanno definito “impeccabili” il novanta per cento dei toponimi. Se in minima parte fossero sbagliati o resi male in italiano, cent’anni di uso ufficiale e popolare hanno sanato l’imperfezione, come un qualunque studioso, giurista e comune cittadino, capirebbe da solo. 7) Attenzione a non confondere le carte. Qui non si vuole cancellare i nomi italiani perché sono un’ingiustizia. La popolazione di lingua tedesca da settant’anni scrive e pronuncia in tedesco i nomi di luogo da tutti condivisi e frequentati. Qui si vuole cancellare i nomi italiani (“italiani” e non “fascisti”) per puro e anacronistico revanscismo politico. Non si capisce che fastidio possa mai dare un italiano, e a chi, se e quando pronuncia in italiano quel toponimo che un tedesco liberamente e anche lui senza infastidire nessuno pronuncia in tedesco. Questo principio di basilare convivenza è la radice stessa dell’Europa. E comunque nella Repubblica italiana, di cui l’Alto Adige è parte integrante da un secolo, l’italiano è “la lingua ufficiale dello Stato”, come ricorda lo stesso Statuto d’autonomia. In nessun Paese al mondo si chiede allo Stato, che già ha concesso con equità e lungimiranza a una sua minoranza linguistica il diritto di usare la propria lingua anche per i toponimi, di rinunciare alla propria lingua nazionale per ragioni di pura rivalsa politica. 8) Il paragone con la Valle d’Aosta è improponibile. Basti dire che in Valle d’Aosta non vige il principio della proporzionale etnica, a differenza della Provincia di Bolzano. Ogni “autonomia”, così come ogni storia toponomastica, ha una sua diversità e una sua caratteristica. Abolire, cent’anni dopo, i toponimi italiani in Alto Adige sarebbe un’aberrazione giuridica, storica e umana, perché vorrebbe dire dichiarare che ai cittadini italiani è proibito nominare in italiano nomi di luogo che in italiano già esistono da un secolo.
Ornella M.
17 novembre 2016 - 00:00
perché? per quale motivo? che senso avrebbe?

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