Serge Vanvolsem e l’Accademia della Crusca

di Nicoletta Maraschio

Pubblichiamo il discorso di Nicoletta Maraschio tenuto a Lovanio il 29 novembre 2014 in occasione della Seduta accademica in ricordo di Serge Vanvolsem "...noto a chi cresciuto tra noi...".
Nicoletta Maraschio è la presidente onoraria dell'Accademia della Crusca.

È un vero onore per me essere qui oggi a ricordare Serge Vanvolsem. Lo faccio a nome mio personale e a nome dell’intera Accademia della Crusca. Il presidente Claudio Marazzini mi ha infatti pregato di rappresentare lui e tutti gli accademici in questa particolare seduta della Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica di Lovanio dedicata al ricordo di Serge. L’incontro riprende opportunamente il titolo del libro, che sarà consegnato alla famiglia, scritto in suo onore da un gruppo di colleghi e curato da Franco Musarra, Bart Van den Bossche e Marie-France Renard: “…noto a chi cresciuto tra noi…”. Studi di lingua e letteratura italiana per Serge Vanvolsem (Firenze, Cesati, 2014).

Serge è stato un amico straordinario e uno straordinario studioso. Basta scorrere la bibliografia che i curatori hanno pubblicato in appendice al libro appena citato per rendersi immediatamente conto dell’ampiezza dei suoi interessi di ricerca e della costanza del suo impegno a favore della lingua italiana, sia come insegnante che come organizzatore. Del resto è ben noto a tutti e da tempo quanto Serge Vanvolsem abbia fatto per promuovere una più ampia diffusione dell’italiano e soprattutto per favorire una migliore conoscenza della sua storia e delle sue strutture.

Ho quindi accettato con grande piacere l’invito che mi è stato rivolto dai colleghi di Lovanio a partecipare a questa seduta accademica, non solo per l’amicizia e la stima che mi legano a Serge, a Lieve e a tutta la loro famiglia, ma anche per l’occasione preziosa di poter ripercorrere, seppur solo a tratti e per punti significativi, la storia del lungo, intenso, felice rapporto che Serge ebbe con Firenze e con l’Accademia della Crusca.

La sua nomina ad accademico corrispondente è del 19 maggio 1995, durante la presidenza di Giovanni Nencioni, ma la sua frequentazione della Crusca risale a molto prima, a quasi trent’anni prima, al 1968, quando, giovane studente, Serge arrivò a Firenze, conobbe l’allora presidente dell’Accademia Giacomo Devoto e iniziò a frequentare, alla Facoltà di Lettere in piazza Brunelleschi, i seminari di Giovanni Nencioni, che era stato chiamato a insegnare Storia della lingua italiana in quella facoltà. Ne parla Serge stesso in modo semplice e diretto, come del resto è solito fare, nel bel contributo del 2009, dedicato a Nencioni e intitolato Un incontro in ascensore. Anche il titolo è significativo, un titolo parlante, come altri ai quali Serge ci ha abituato:

 

La prima lezione di Nencioni fu molto diversa [rispetto a quelle di Gianfranco Contini di cui parla in precedenza]. Arrivato un po’ in anticipo in piazza Brunelleschi, avevo seguito ingenuamente nell’ascensore un professore cinquantenne dalla chioma già grigia, che mi aveva subito interrogato, un po’ sorpreso forse, ma con un sorriso indimenticabile, un misto di benignità e premura che metteva immediatamente l’interlocutore a suo agio. Mi chiese da dove venissi e quali corsi intendessi seguire. “Lovanio”, risposi, e gli dissi che cercavo il professor Nencioni che quel giorno avrebbe fatto la prima lezione di Storia della lingua. “Ma sono io”, dichiarò con un sorriso sempre più radioso, e dopo due parole sul corso, mi invitò amabilmente a seguirlo in aula (S. Vanvolsem, Un incontro in ascensore, in A. Antonini e S. Stefanelli (a cura di), Per Giovanni Nencioni.Atti del Convegno internazionale di studi, Pisa – Firenze 4-5 maggio 2009, numero monografico degli “Studi di Grammatica Italiana”, XXVII, 2008 [ma 2011], pp. 199-203, a p. 201).

 

Può sembrare un episodio banale. Ma non lo è affatto. Serge era appena “fuggito” da Bologna, da un’università che gli era parsa troppo chiusa e tradizionale (il suo giudizio è molto severo: programmi tradizionali, professori baroni e non sempre accessibili…) ed era arrivato a Firenze nel pieno della contestazione studentesca del sessantotto. Come si capisce anche dal suo racconto, Nencioni era in quegli anni tra i pochi professori fiorentini capaci di dialogare realmente con gli studenti e di rinnovare a fondo sia il metodo didattico, sia i contenuti dei corsi: poche lezioni frontali, molti gruppi di lavoro e molti seminari. Serge ha scritto: “chi ha potuto seguire questi seminari ha ricevuto una formazione unica”. Ma anche Nencioni ha riconosciuto, in una interessante “ricapitolazione” della sua esperienza di ricerca e di insegnamento, di avere tratto dagli studenti un contributo importante:

 

i giovani, e tra essi i migliori dei nostri studenti, chiedevano notizie precise non solo dello strutturalismo europeo, ma anche di quello americano [...] e poi della linguistica quantitativa, della grammatica generativa, della linguistica testuale, della psicolinguistica, della sociolinguistica, della fonetica sperimentale, e infine della logica delle lingue naturali e della pragmatica; di tutto ciò insomma che non fosse storicistico e idealistico, cioè tradizionale. Io, ormai formato da un metodo storico, non potevo certo mutare il mio orientamento, ma neppure consentii a respingere come moda o barbarie, o come tentativo di colonizzazione culturale, le teorie straniere [...]. Grazie ai migliori di quei giovani ho compreso l’utilità della grammatica generativa per lo studio e la descrizione della sintassi italiana. [...]. Debbo altresì alla curiosità e alla sagacia di alcuni di quei giovani, pronti a cogliere le nuove istanze della coscienza linguistica nazionale, di essere stato con loro, negli anni Settanta, tra i promotori dello studio teorico e sperimentale della lingua parlata, in particolare della sua sintassi, della sua intonazione, della tecnica dialogica in situazione concreta (G. Nencioni, Ricapitolazione, in “Autografo”, 6, 1989, n. 17, pp. 57-66, alle pp. 61-62).

 

Tra quei giovani c’era appunto anche Serge Vanvolsem che come molti altri allievi di Nencioni trasse da lui alcune preziose indicazioni di metodo, di cui si sarebbe giovato per tutta la vita; ma anche suggerimenti per nuovi ambiti di studio da approfondire. Di qui l’interesse per il parlato, per la grammatica, sia dal punto di vista sincronico che diacronico, per la lessicografia e la lessicologia.

E con Nencioni Serge instaurò subito un rapporto profondo di amicizia che superava l’ambito professionale. Permettetemi allora un’osservazione personale. Nencioni è stato anche il mio maestro e ho frequentato i suoi seminari proprio insieme a Serge e a tanti altri giovani che poi hanno continuato a fare ricerca e a lavorare nell’università. Un maestro particolare, che dalle curiosità dei suoi allievi, dalla loro giovane energia sapeva trarre stimoli che poi rielaborava, orientando chi lo seguiva verso nuovi campi di ricerca e nuovi metodi. Alla scuola nencioniana si sono infatti formati grammatici generativi, psicolinguisti, linguisti generali, semiologi e naturalmente anche storici della lingua che, come Serge, hanno seguito diversi filoni di ricerca, mantenendo l’interesse storico e stilistico proprio del maestro. Un maestro molto cordiale e sorridente con tutti noi, ma che non amava entrare nella nostra vita privata. Con Serge era diverso. Molte volte Nencioni, di cui poi sono diventata assistente e che seguivo quindi ogni giorno in facoltà, dopo aver incontrato Serge e sua moglie Lieve, nel suo bellissimo studio sull’Arno in via Coverelli, mi raccontava del loro colloquio e mi diceva: “ma che bella persona! ma che bella famiglia!” Era molto raro sentirgli dire qualcosa del genere di altri.

L’affetto era ampiamente ricambiato. Basta leggere la premessa al primo libro che Serge pubblicò in Crusca, nel 1983, L’infinito sostantivato in italiano. Non c’è solo la riconoscenza per il fatto che la monografia fosse stata accolta nella collana accademica degli “Studi di Grammatica Italiana”, c’è di più, c’è l’affetto per un professore che, pur molto impegnato su molti fronti, sapeva sempre trovare il tempo per incontrare i più giovani e discutere con loro, in modo approfondito, dei loro temi di ricerca: “col prof. Nencioni ho discusso spesso l’ordinamento del lavoro, ed egli ha voluto leggere pazientemente l’intera prima stesura, portandovi le sue postille chiarificatrici”.

Questo libro di Serge, che nasce dalla sua tesi dottorato discussa con André Sempoux, si è potuto giovare precocemente dell’informatica, del calcolatore elettronico, come ancora si chiamava, e delle molte concordanze preparate dall’Accademia per il futuro Vocabolario. Si trattava, come Serge sottolinea, di un prezioso “risparmia tempo”, da usare tuttavia con cautela, vista l’importanza dell’interpretazione semantica, abbinata all’analisi prettamente sintattica. Che l’analisi quantitativa debba sempre essere integrata da quella qualitativa, oggi lo sappiamo molto bene, grazie alla linguistica dei corpora. Ma ci colpisce la consapevolezza dimostrata tanti anni fa da Serge Vanvolsem su questo tema.

I testi scelti per l’analisi sono testi letterari: il Decameron e I Promessi Sposi. Certamente l’interesse per la letteratura che Serge coltivò tutta la vita non dipende solo dall’insegnamento nencioniano, tuttavia è molto significativo che molti dei suoi autori siano anche quelli di Nencioni che, come sappiamo, aveva una grande sensibilità stilistica, testimoniata dai numerosi, illuminanti, studi su poeti, prosatori e scrittori teatrali: da Dante a Manzoni a Pirandello. E anche Serge si è occupato, tra gli altri, di Leopardi, Manzoni, Pirandello, oltre che di Svevo e di Tomasi di Lampedusa.

Ho molto apprezzato il fatto che Franco Musarra, Bart Van den Bossche e Marie-France Renard abbiano riservato, nel libro per Serge, accanto allo spazio linguistico un ampio spazio letterario. E proprio del Gattopardo Serge ha studiato, tornando al tema del suo libro di Crusca, la sostantivizzazione dell’infinito in un contributo nel volume dedicato a questo capolavoro, da lui stesso curato nel 1991 insieme a Franco Musarra. Vanvolsem e Musarra: un’eccezionale coppia di studiosi e amici che è stata capace di animare l’italianistica di Lovanio, in particolare con convegni internazionali di riconosciuta rilevanza.

Tra lingua e stile dunque. Un campo che Serge Vanvolsem ha seguito in modo particolare per quanto riguarda la letteratura dell’emigrazione:

 

Troviamo normale includere, per es., in una storia della letteratura inglese numerosi scrittori (tra cui qualche premio Nobel) vissuti a centinaia di chilometri dall’Inghilterra, e che magari non hanno mai avuto né questo paese, né qualcun altro del Commonwealth come madrepatria. Un analogo discorso si potrebbe fare per lo spagnolo o per il portoghese, altre due lingue per la cui storia e sviluppo si tiene pure conto, più o meno ampiamente, di quanto avviene all’estero; per il francese forse l’uso non è ancora così generale. Per quanto riguarda l’italiano, però, una tale consuetudine non è mai esistita: gli individui di origine italiana sparsi per i cinque continenti sono oggi probabilmente più numerosi degli italiani viventi in Italia, ma linguisticamente non contano, è come se non ci fossero.

 

Si tratta di un intervento fiorentino (L’italiano dell’immigrazione alta) svolto al convegno della SLI, Società di Linguistica Italiana (N. Maraschio e T. Poggi Salani, a cura di,Italia linguistica anno mille. Italia linguistica anno duemila, Roma, Bulzoni, 2003, pp. 391-399, a p. 391). Si noterà il tono fortemente risentito. Serge era molto determinato nella denuncia di lacune e criticità, a suo parere, evidenti nella politica e nell’azione linguistica pubblica a sostegno dell’italiano, che giudicava del tutto inadeguate. Molti suoi studi sono dedicati a questo tema di grande rilevanza politica, culturale e sociale, che quest’anno è stato riproposto all’attenzione anche dell’opinione pubblica dagli “Stati generali della lingua italiana nel mondo. L’italiano nel mondo che cambia”, organizzati dal Ministero degli Affari Esteri (Firenze , 21-22 ottobre 2014).

Ed è questo un altro terreno d’incontro particolarmente fertile con le ricerche e le attività dell’Accademia della Crusca. Nencioni era ben consapevole del ruolo internazionale dell’Accademia e lo ha molto rafforzato nel corso della sua presidenza, ma gli interventi in questo campo si sono poi moltiplicati soprattutto dalla presidenza di Francesco Sabatini in poi.

Il contributo di appoggio e collaborazione di Serge Vanvolsem è stato fondamentale e da diversi punti di vista. Dal 2007, con Sabatini, l’Accademia ha voluto creare un luogo di libero confronto, una Piazza delle lingue, per dibattere temi e problemi della storia e della politica linguistica dell’italiano in Europa e nel mondo. L’obiettivo era ed è quello di coniugare in un’unica manifestazione la ricerca linguistica avanzata, propria dell’Accademia, e la divulgazione verso un pubblico più largo rispetto a quello degli specialisti. La presenza di Serge è stata costante. In particolare, ricordo che alla Piazza del 2009, Esperienze di multilinguismo in atto Serge ha svolto una relazione di grande significato: Il multilinguismo non è la somma di più lingue. Il caso del Belgio (N. Maraschio, D. De Martino, G. Stanchina, a cura di, Esperienze di multilinguismo in atto, Firenze, Accademia della Crusca, 2010, pp. 195-204). Ancora un titolo parlante, e l’importanza dell’intervento non è dovuta solo alla ricca e accurata documentazione presentata e all’innovativa impostazione metodologica, ma anche alla grande passione con cui Serge ha affrontato il tema, spinto da esperienze e da ragioni personali. In quell’occasione, Serge ha dimostrato in modo splendido come si può riempire di contenuti concreti e di proposte operative un tema, quello del multilinguismo, sul quale teoricamente tutti possono essere d’accordo, ma che ha molte facce e che per essere messo in atto richiede un’attenzione e una ‘manutenzione’ continua e soprattutto un atteggiamento etico/ culturale di assoluto rispetto per lingue diverse:

 

Anziché frenare, si tratterebbe piuttosto di rafforzare l’insegnamento e la diffusione delle lingue, ovvero di moltiplicare l’offerta linguistica, sennò non si realizzerà mai il sogno – ma in realtà è molto di più, una vera proposta fatta dalla Commissione europea- di Amin Maalouf che “ogni persona sia incoraggiata a scegliere liberamente la propria lingua personale adottiva [quella lingua sposa che si dovrebbe unire alla lingua madre e alla lingua segretaria in un plurilinguismo individuale come condizione di un multilinguismo europeo effettivo] (p. 200).

 

E ancora:

 

per ottenere un vero multilinguismo non occorre raffinare la legislazione, spesso già molto complessa, in materia di uso linguistico: occorre cambiare profondamente la mentalità degli utenti, il che non è un processo né facile né rapido. Alle lingue egemoni si chiede […] di mostrare più umiltà, più rispetto per le altre lingue e soprattutto di dare loro più spazio nell’uso internazionale (p. 202).

 

Serge non manca inoltre di richiamare, insieme a Leonard Orban, allora Commissario europeo al multilinguismo, i vantaggi economici di tale cambiamento: “Investire in competenze linguistiche non è uno sgradito costo per svolgere un’attività commerciale, ma semmai un modo di accrescere enormemente le opportunità commerciali delle imprese”( p. 204).

Nel maggio del 2010 l’Accademia ha organizzato la quarta edizione della sua Piazza: L’italiano degli altri e Serge, nonostante non stesse più molto bene, è venuto a Firenze e ha partecipato alla manifestazione (in particolare al convegno L’italiano degli altri: lingua d’incontro che si è svolto nella Sala delle conferenze), ma purtroppo non ha fatto in tempo a consegnare per gli Atti il suo testo scritto. Insomma una presenza costante la sua, una collaborazione sui cui contare in ogni circostanza. Sia Sabatini che io stessa siamo ricorsi molto spesso a lui per delicate questioni di politica linguistica europea. Del resto Serge alcuni temi li aveva ampiamente affrontati con grande anticipo. Mi piace ricordare qui l’importante convegno L’italiano oltre frontiera (Lovanio 22-25 aprile 1998) che si è concluso con un significativo documento, discusso ed elaborato da molti dei partecipanti e ancora pienamente sottoscrivibile:

 

Un plurilinguismo reale che salvaguardi l’identità delle diverse lingue ‘comunitarie’, giustamente considerate di pari dignità culturale e ufficialmente riconosciute dall’Unione, può essere obiettivamente e realisticamente garantito solo da un modello educativo che promuova per tutti i cittadini europei una competenza anche parziale di almeno tre lingue, preferibilmente appartenenti a gruppi linguistici diversi (p. es. gruppo germanico, romanzo, slavo…). Questo richiede da parte degli stati membri un cospicuo investimento di risorse economiche ed umane per l’insegnamento precoce di più lingue e per la promozione di iniziative di intercomprensione all’interno di ciascun gruppo linguistico, come del resto già previsto dal Rapporto intermedio del luglio 1996 della Commissione sull’attuazione dell’obiettivo IV: sapere tre lingue comunitarie . Un progetto di questo tipo rappresenterebbe una radicale inversione di tendenza rispetto alla situazione attuale ed allontanerebbe il rischio della prevedibile egemonia di una sola lingua (Serge Vanvolsem, Dieter Vermandere, Yves D’Hulst, Franco Musarra, a cura di, L’italiano oltre frontiera, Firenze, Cesati, 2000, I, pp. 14-15).

 

Serge Vanvolsem lanciò allora una sfida ambiziosa ai colleghi italianisti di tutto il mondo perché considerassero le vicende della lingua italiana sempre più “in contesti di plurilinguismo”, all’interno e all’esterno dei confini nazionali, ponendo a sé stesso e a tutti noi la domanda: “una conseguenza logica dello sviluppo internazionale della società sarà forse che alle soglie del ventunesimo secolo le sorti dell’italiano non si decidono più esclusivamente in Italia?” (S. Vanvolsem, in L’italiano oltre frontiera, cit., p. 14). La sua sfida è stata raccolta da studiosi e istituzioni, sono state infatti realizzate, dal 1998 in poi, numerose iniziative intorno ai valori del plurilinguismo/multilinguismo, sono stati pubblicati molti contributi nuovi e alcuni libri “di sintesi” basati sui risultati delle ricerche tematiche lanciate proprio a Lovanio. Del resto, come dargli torto? La sua ricerca e il suo impegno per l’italiano dimostrano, senza ombra di dubbio, che la visione d’oltre frontiera può essere più acuta di quella che parte dall’interno dei confini nazionali.

Prima di concludere su questo tema, mi preme sottolineare un altro elemento, ossia che il rapporto degli ultimi anni di Serge Vanvolsem con l’Accademia non è stato affatto limitato alla Piazza delle lingue. Ricordo, ad esempio, un suo bell’intervento sull’uso degli SMS in neerlandese e in francese al convegno Se telefonando ti scrivo del 2007 (S. Vanvolsem, La lingua degli SMS in neerlandese e in francese, in N. Maraschio e D. De Martino, Se telefonando… ti scrivo. L’italiano al telefono: dal parlato al digitato, Firenze, Accademia della Crusca, 2010, pp. 107- 115). Dopo avere notato da una parte fenomeni globali e dall’altra fenomeni specifici delle diverse lingue, Serge osserva:

 

Anni fa Giovanni Nencioni (1983) ci ha insegnato che fra scritto e parlato vi sono più forme intermedie: scritto-parlato/letto/ recitato, parlato-scritto... Il linguaggio degli SMS è costantemente influenzato dalla lingua parlata, ma non è affatto una trascrizione dell’orale, anzi. Sfrutta il lato fonico di lettere e cifre, e omette volentieri una serie di lettere (spesso finali ma non solo) che nella produzione orale meno controllata spesso mancano, ma praticamente non vi sono tracce delle caratteristiche più tipiche del parlato [come ad es. la dislocazione a sinistra] (p. 113).

 

Del resto, Serge veniva volentieri a Firenze e in Accademia, spesso con Lieve, non solo in occasione di convegni, ma per studiare nella nostra ricca e bella biblioteca. Il legame con tutti i dipendenti e collaboratori era molto stretto e amichevole, in particolare con la segretaria storica della Crusca, Silvia Franchini. Significativamente Serge offrì più volte la sua collaborazione al periodico semestrale “La Crusca per voi”, fondato da Giovanni Nencioni e destinato a tutti gli “amatori” della lingua italiana (attualmente diretto da Francesco Sabatini). Ricordo una sua bella risposta del 2003 su o/ovvero, oppure, molto articolata e basata su raffinate distinzioni semantiche e pragmatiche, legate anche alle diverse tipologie testuali, tra i tre “operatori di disgiunzione” (S. Vanvolsem, Uso di ovvero al posto di o, ora in M. Biffi e R. Setti, a cura di, La Crusca risponde. Dalla carta al web (1995-2005), Firenze, Le Lettere, 2013, pp. 120-123).

Ma vorrei concludere facendo riferimento ai tre nuovi progetti ‘strategici’ nei quali l’Accademia è attualmente impegnata: un Vocabolario dantesco, Un grande Vocabolario postunitario, che riprenda su basi completamente rinnovate la tradizione lessicografica di Crusca, bruscamente interrotta dal fascismo nel 1923 e un Osservatorio degli italianismi nel mondo (OIM). Sono sicura che Serge Vanvolsem avrebbe volentieri partecipato a queste nuove iniziative dell’Accademia, in particolare alle ultime due e soprattutto all’OIM. L’idea di un Osservatorio l’avrebbe certamente affascinato, e si sarebbe impegnato personalmente nella ricerca di quel sostrato linguistico comune europeo, creato nel corso del tempo dalla circolazione di uomini e donne, di prodotti diversi (compresi quelli artistici), di libri e strumenti, come grammatiche e vocabolari. Proprio in questo ambito molti studi di Vanvolsem costituiscono un imprescindibile punto di riferimento: da quelli sulla fortuna europea della grammatica dell’Acarisio e sui primi manuali e dizionari italiani per neerlandofoni, a quelli sulla grammatica italiana di Lodewijk Meijer (1672) fino a quelli sull’emigrazione italiana in Belgio e sugli influssi italiani nel neerderlandese.

Grazie Serge. 

Correlati

Seduta accademica in ricordo di Serge Vanvolsem “…noto a chi cresciuto tra noi…”