Aspetti della lessicografia bilingue. Presentazione del Grande Dizionario italiano-polacco

di Elżbieta Jamrozik

Elżbieta Jamrozik è professore in linguistica (studi in sintassi e semantica delle lingue romanze) presso il Dipartimento di Italianistica dell'Università di Varsavia. È autrice di opere lessicografiche (Mini-słownik włosko-polski polsko-włoski, PWN 2000) e coautrice del Grande Dizionario italiano-polacco che da vari anni vede impegnato un gruppo di ricercatrici all'interno di un progetto a cui l'Accademia della Crusca ha dato il proprio sostegno.

Il Grande Dizionario italiano-polacco, di cui sono usciti ormai tre dei quattro volumi previsti, accompagnati da un volume separato contenente grammatica, nomi propri e sigle, costituisce una testimonianza della viva presenza dell'italiano in Polonia, della sua importanza sia in quanto lingua di cultura e scambi bilaterali che in quanto veicolo di stile di vita, dell'immagine di un paese che da anni, per varie ragioni, gode di simpatia e costituisce la meta ambita dei polacchi.

 I contatti storici, culturali e linguistici tra i due paesi hanno una lunga tradizione, amplificata sin dall'epoca del Rinascimento quando numerosi figli di nobili polacchi si recavano nelle università italiane, soprattutto a Padova, mentre altrettanto numerosi artisti, commercianti, viaggiatori e persino avventurieri della Penisola andavano ad esplorare un paese finora sconosciuto. Se le motivazioni che spingevano i polacchi a partire erano generalmente di natura scientifica e artistica, quelle degli italiani erano riconducibili per lo più a interessi professionali, in quanto speravano di affermarsi e fare fortuna in un paese dove la concorrenza per banchieri, artisti e medici era ancora relativamente debole. Quando il re polacco Sigismondo I sposò nel 1518 la principessa Bona Sforza, oltre duecento cortigiani italiani si stabilirono a Cracovia; ormai moda, danza, belle arti, architettura, musica, letteratura si impregnavano sempre più di influssi italiani [1]. D'altro canto i nuovi arrivati non mancavano certo di coraggio, dato che la Polonia era all'epoca una terra quasi ignota, un paese esotico, considerato arretrato e soprattutto freddo [2]. Comunque dal Cinquecento si data anche lo sviluppo regolare di relazioni diplomatiche, culturali, artistiche ed economiche tra i due paesi, il che favorisce in seguito lo studio dell'italiano in Polonia; già nel Seicento l'italiano viene insegnato in varie scuole conventuali a Cracovia ed è in quest'epoca che viene pubblicata la prima grammatica dell'italiano [3]. Nei secoli successivi questi contatti non fanno che ampliarsi e si estendono ben oltre la sfera della vita culturale: basta ricordare che l'inno nazionale polacco è stato composto nel 1797 a Reggio Emilia e che nella seconda strofa esorta il generale Dabrowski a marciare "dalla terra italiana verso la Polonia". Le complesse vicende dell'epoca napoleonica, la presenza di reparti polacchi nell'esercito di Garibaldi e la tragica storia di F. Nullo che ha perso la vita nell'insurrezione polacca del 1863 costituiscono solo alcuni episodi di una storia che, nonostante la lontanza geografica dei paesi, ha trovato più volte dei punti di incrocio. La Seconda Guerra Mondiale vi ha fornito un altro triste episodio, segnato dalle battaglie in cui tra il 1944 e il 1945 presero parte i soldati polacchi dell'esercito del generale Anders (Monte Cassino, Ancona, Loreto, Bologna) [4].
 La tradizione storica comune, impressa nell'immaginario collettivo dei polacchi con alcuni punti salienti, tra cui soprattutto il periodo padovano di Copernico, la regina Bona Sforza, i versi dell'inno nazionale e la battaglia di Monte Cassino, hanno contribuito a creare nell'anima del polacco medio un sentimento di interesse e di simpatia nei confronti dell'Italia.
Tale atteggiamento è stato potenziato quando, nel 1978,  è diventato papa il cardinale Karol Wojtyla: da allora i suoi connazionali si recavano sempre più spesso in pellegrinaggio a Roma, visitando generalmente anche qualche altra città italiana. Questi viaggi, che per ragioni economiche significavano ore di pullman e soggiorno generalmente in condizioni molto modeste, hanno dato l'opportunità non solo ad intellettuali delle grandi città, ma anche ad abitanti più umili di paesi e piccole parrocchie di provincia, di conoscere, seppur in modo superficiale, il Bel Paese, e di farsi un'idea, fosse anche vaga e in parte stereotipata, dei suoi abitanti, della cucina, delle usanze. In questo modo è cominciata a formarsi, a livello più individuale che nazionale, una rete di relazioni umane intrise di simpatia, curiosità e interesse per "l'altro". I contatti con l'Italia si sono ulteriormente rinforzati nel periodo successivo al 1989, grazie alla crescente presenza economica dell'Italia in Polonia di cui, oltre alla ormai tradizionale Fiat, occorre citare il gruppo bancario UniCredito Italiano, le fonderie Lucchini, il gruppo Ferrero, nonché numerose altre ditte che, operando nei settori più vari (abbigliamento, scarpe, alimentari, industria meccanica, chimica e altre) hanno contribuito a fare dell'Italia il nostro secondo partner economico europeo dopo la Germania [5].
Il risvolto culturale di questa situazione si manifesta tramite l'interesse per la letteratura, la cultura, la lingua italiana. Se le prime traduzioni in polacco delle grandi opere di letteratura italiana appaiono tra il Sette e l'Ottocento [6], la letteratura italiana del Novecento gode in Polonia di grande fortuna sin dai primi decennni del secolo (quando venivano tradotte le opere di Fogazzaro, D'Annunzio, Deledda, Pirandello, Bontempelli), fino alle numerose traduzioni di autori contemporanei (in particolare Tabucchi, Baricco, Magris) pubblicate negli ultimi anni [7].
 D'altro canto l'insegnamento della lingua italiana nell'ultimo decennio è in piena espansione. Secondo i dati del Centro per la Formazione di Insegnanti (Centralny Osrodek Doskonalenia Nauczycieli) per l'anno scolastico 2004/05, oltre diecimila ragazzi imparano l'italiano nei vari tipi di scuole pubbliche, dalle elementari al liceo. Questa cifra va confrontata con i dati riguardanti le altre lingue straniere insegnate nelle strutture pubbliche e la situazione demografica in cui il numero degli studenti comincia a calare. La tabella riportata sotto illustra l'incremento effettivo dell'italiano rispetto alle altre lingue straniere; quanto sia importante l'impennata del 16,7% registrata per l'italiano appare se si considera che la spendibilità dell'italiano, lingua parlata solo in Italia, è molto più contenuta rispetto alle altre lingue di ben maggiore estensione geografica (russo, francese, spagnolo), al tedesco (lingua del vicino immediato e primo partner economico), o al "latino dei nostri tempi", ovvero l'inglese.

Lingue straniere in quanto materia d'obbligo nelle scuole polacche
(la tabella riporta il numero dei discenti)

 

Anno  Ingl. Ted. Russo Franc. Spagn. Italiano
2003/04  4.167.970  2.194.000  486.870  220.800  10.450 8.720
2004/05 4.077.220  2.135.290 415.370  210.340 11.580 10.180
Differenza -90.750
-2,2%
-58.710
-2,7%
 -71.500
-14,7%
-10.460
-4,7%
 +1.130
+10,8%
+1.460
+16,7%

A livello universitario, nelle cinque italianistiche che funzionano presso le università statali, o in quanto unità amministrative autonome (Varsavia), o come parte del Dipartimento di lingue romanze (Cracovia, Poznan, Katowice e Wroclaw) il numero complessivo di studenti ammonta a circa 2.000; sono persone che fra poco entreranno sul mercato di lavoro come insegnanti, interpreti, assistenti presso le varie ditte di cui sopra, dipendenti nel settore turistico e alberghiero.
Purtroppo non disponiamo di cifre affidabili riguardanti il settore privato [8] che comprende sia regolari classi di lingua a livello elementare, medio e liceale che numerosi corsi di lingua, soprattutto di livello principiante e medio, indirizzati per lo più a discenti adulti. Si stima comunque che il numero complessivo di studenti di italiano ammonti a 40.000 persone.
Le cifre riportate rendono conto di una situazione sul mercato linguistico che è il frutto di lunghi anni di maturazione: infatti se l'italiano gode attualmente di tanta popolarità presso i polacchi è perché viene considerato non solo lingua di cultura, ma anche lingua utile nel mondo di lavoro che (soprattutto se abbinata all'inglese o un'altra lingua occidentale) facilita la carriera professionale.

 Questo ampio preambolo mira a introdurre il lettore italiano nel clima di simpatia generale nei confronti dell'Italia e della cultura italiana nel senso ampio del termine, clima che ha favorito l'idea del Grande Dizionario italiano-polacco. Infatti quando alla fine degli anni '70 il prof. Romolo Cegna, allora direttore dell'Istituto italiano di Cultura a Varsavia e addetto culturale dell'Ambasciata d'Italia a Varsavia, ha voluto dare alla presenza culturale dell'Italia in Polonia un riconoscimento meritevole, l'elaborazione di un dizionario esaustivo in più volumi sembrava la soluzione migliore. Infatti sul mercato polacco esistevano già dizionari bilingui di formato detto 'grande' (ovvero di oltre 100.000 lemmi) per le maggiori lingue europee, tutti pubblicati dalla casa editrice "Wiedza Powszechna" che era, ed è tuttora, il più importante editore lessicografico in Polonia: il dizionario inglese di Jan Stanislawski e il dizionario tedesco di Jan Piprek e Juliusz Ippoldt; imminente era la pubblicazione del dizionario russo di A. Mirowicz, J. Dulewicz, I. Grek-Pabis, I. Maryniak, mentre erano avviati i lavori sul dizionario francese. Elaborare un dizionario italiano-polacco di questo formato [9] significava chiaramente conferire all'italiano lo status di 'grande lingua europea' e riconoscere in questo modo la sua importanza secolare in Polonia. Era anche un modo, seppur indiretto, di aprirsi ulteriormente verso la cultura occidentale europea con la quale la Polonia, come si è visto, aveva sempre mantenuto legami profondi.
 L'idea del prof. Cegna ha avuto una risposta immediata da parte del prof. Carlo Alberto Mastrelli, vice-presidente dell'Accademia della Crusca, che, con l'accordo del presidente dell'Accademia, il prof. G. Nencioni, ha assicurato in questo modo al nuovo progetto l'appoggio della più prestigiosa sede lessicografica italiana: tale sostegno, ovviamente indispensabile dal punto di vista scientifico, si è rivelato prezioso anche per l'aspetto burocratico-amministrativo poiché, per l'intervento dell'Accademia, il 6 giugno 1979 il progetto del Grande Dizionario è stato ufficialmente incluso nell'accordo culturale tra l'Italia e la Polonia. La casa editrice "Wiedza Powszechna" che si è presa l'impegno di seguire la redazione del Dizionario e di pubblicarlo ha deciso di affidare il compito di elaborazione dell'opera a un gruppo di giovani autori, Hanna Ciesla, Elzbieta Jamrozik e Radoslaw Klos, sotto la direzione di due redattori, Jadwiga Galuszka, il primo redattore responsabile, e Ilona Lopienska. Sin dal 1979 gli autori hanno cominciato i lavori di impostazione; lo stesso anno  H. Ciesla e R. Klos hanno fatto un primo soggiorno di studio  presso l'Accademia della Crusca che da quel momento fino ad ora ha regolarmente ospitato gli autori e le redattrici, aprendogli le porte della biblioteca e fornendo preziose consulenze lessicografiche, nonché aiuto linguistico di ogni genere.
Sia gli autori, ai quali si è in seguito aggiunta Jolanta Sikora-Penazzi, che Ilona Lopienska, l'attuale redattore responsabile del Dizionario e co-autrice del III volume, devono gran parte del loro sapere lessicografico a Jadwiga Galuszka. Questa redattrice esperta, grande ammiratrice di Dante e della lingua italiana, curatore di una raccolta di antiche novelle italiane, ci ha insegnato molto di più che la semplice tecnica e pratica lessicografica: ha saputo trasmetterci la sua laboriosità, la curiosità di capire il significato preciso del termine italiano e la pazienza di cercare equivalenti polacchi senza fermarsi al primo rinvenuto, l'onestà professionale di rileggere e di verificare il materiale considerato pronto. Anzi, con lei abbiamo imparato che i qualificativi "pronto", "finito" non esistono, soprattutto in lessicografia. Gliene siamo profondamente grati.
È stata Jadwiga Galuszka a elaborare la metodologia del Grande Dizionario, esposta in forma semplificata nelle Avvertenze per la consultazione del volume I del Dizionario. I principi sui quali doveva basare l'impostazione generale dell'opera sono stati sottoposti in seguito al parere di linguisti e lessicografi, durante riunioni che si svolgevano nella sala principale dell'Istituto Italiano di Cultura che il prof. Cegna metteva gentilmente a disposizione del gruppo: vi  hanno partecipato sia italianisti - il prof. P. Salwa dell'Università di Varsavia e il prof. S. Widlak dell' Università Jagellonica di Cracovia - che polonisti - il dott. Jekiel dell'Istituto di Lingua e Cultura Polacca per Stranieri "Polonicum", presso l'Università di Varsavia, il prof. H. Szkiladz, lessicografo dell'Università di Varsavia, e il dott. P. F. Poli di Firenze. Tuttavia è soprattutto al prof. Carlo Alberto Mastrelli che il Grande Dizionario deve la sua impostazione attuale, sia per quanto riguarda i principi determinanti la scelta dei lemmi, della fraseologia e esemplificazione, sia per l'adozione di alcune soluzioni pratiche di stesura lessicografica (indicatori di registri, varietà e settori di lingua).
Al fine di capire il valore che rappresentava per il giovane gruppo di lessicografi polacchi l'ospitalità offerta dall'Accademia della Crusca e la possibilità di svolgervi un soggiorno di studio, occorre tener presente che la Polonia degli anni '80 era uno dei paesi "dell'altro blocco", ripiegata su sé stessa dopo la repressione del movimento "Solidarnosc", rinchiusa in un sistema di divieti e limitazioni che oggi sembrerebbero ai limiti dell'assurdo: le fotocopiatrici erano inesistenti, siccome l'uso ne era vietato; il cittadino che voleva fare un soggiorno all'estero doveva chiedere che le autorità gli rilasciassero il passaporto alcuni mesi prima della progettata partenza; avendolo ottenuto (il che non era sempre il caso), doveva fare la coda davanti al consolato per ottenere il visto; data la parità del cambio, i prezzi dei libri, e soprattutto dizionari, pubblicati nei paesi occidentali li rendevano irragiungibili. In questa situazione, avere l'opportunità di passare alcune settimane nella ricchissima biblioteca dell'Accademia dove si poteva verificare il materiale già preparato, elaborare materiale nuovo, consultare fondi specialistici e dizionari settoriali inesistenti in Polonia rappresentava per il gruppo dei collaboratori del Dizionario il paradiso terrestre. Altrettanto preziose sono state le consultazioni scientifiche con i professori dell'Accademia, in particolare con il prof. Mastrelli che ha passato molte ore a discutere con noi su problemi di lessicografia generale ed italiana, mettendo a nostra disposizione il suo sapere di lessicografo e la sua sensibilità di linguista; le sue osservazioni critiche ci hanno aiutato a risolvere i numerosi dubbi che poneva la stesura del materiale.
I dubbi erano numerosi e riguardavano, come è stato accennato, sia la scelta dei lemmi e del materiale fraseologico che l'impostazione delle voci. Per decisione della casa editrice "Wiedza Powszechna", la fonte e il principale punto di riferimento del Dizionario doveva essere un dizionario monovolume di lingua italiana: fu adottato a questo scopo il Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli (inizialmente nella sua decima edizione). Comunque un dizionario bilingue non può, per ragioni di metodologia, essere la semplice traduzione di uno (o più) dizionari monolingui: infatti ogni dizionario bilingue è indirizzato a un pubblico straniero (nel nostro caso i polacchi) che richiede un altro tipo di informazioni rispetto al pubblico di lingua madre. In questo senso esso deve contenere informazioni che procedono dal confronto dei sistemi tra la lingua di partenza e quella di arrivo, a livello fonologico, morfologico e sintattico. Solo cercando di rispondere ad ogni passo alla domanda "l'utente straniero saprà dove mettere l'accento, formare il plurale, usare la preposizione adatta? saprà scegliere il significato giusto? capirà l'uso figurato e la struttura idiomatica?" l'autore riesce a rispondere alle esigenze del pubblico e di dargli un dizionario utile. Infatti, uno dei maggiori peccati che si possano rinfacciare a un dizionario è di non fornire nel testo della voce la risposta a queste domande fondamentali e pertanto rivelarsi di poca utilità.
Dal confronto del sistema fonetico italiano con quello polacco risulta ad esempio che, siccome i lessemi polacchi sono nella stragrande maggioranza piani [10], diventa necessario segnalare all'utente le parole italiane accentate in modo diverso che sulla penultima sillaba (in mancanza di questa informazione mordere verrà con molta probabilità pronunciato e memorizzato come mordere, così come la stessa parola sillaba diventerà silaba, per contaminazione fonetica con il polacco sylaba). È ovvio che un dizionario non potrà far fronte a tutte le particolarità fonetiche della lingua di partenza: è difficile ad esempio che possa segnalare all'utente polacco il modo italiano di pronunciare le consonanti doppie o le palatali /gn/ o /gl/; ma se riesce almeno a eliminare gli errori di accento sarà già un successo. Per la medesima ragione è stato deciso di inserire tra parentesi la prima persona del verbo, laddove l'utente potrebbe sbagliare:
identificare (identifico)  [per evitare identifico]
deviare (devio)   [per evitare devio]
e di distinguere con appositi segni le vocali "e" e "o" aperte e chiuse sotto accento:
 accoglienza, flettere  con la "e" aperta segnata da un uncino [11]
 grassezza, ragnatela  con la "e" chiusa segnata da un puntino
 economico, deontologico con la "o" aperta segnata da un uncino
 geloso, dolore   con la "e" chiusa segnata da un puntino
 Oltre al posto dell'accento il Dizionario segnala in modo accessibile la pronunce incerte per uno straniero:
- "s" sorda o sonora :
risolvere [-s-]
disarmare [-z-]
- "z" sorda o sonora :
 fosfatizzazione [-ddzats-]
La distinzione tra le vocali aperte e chiuse è stata più volte contestata dopo la pubblicazione del I volume, vi è stato mosso il rimprovero di 'eccessiva fiorentinità'; invece, nonostante sia vero che in varie regioni della Penisola questa distinzione tende a indebolirsi e addirittura sparire, è altrettanto vero che i dizionari monolingui italiani continuano a segnalarla; d'altro canto siamo del parere che un dizionario bilingue è per l'utente straniero come un faro, che lo debba guidare nelle scelte linguistiche e fornirgli un modello da seguire, quel modello fiorentino che ha garantito per secoli alla lingua italiana la sua uniformità. In questo senso il ruolo di un dizionario bilingue è diverso da quello monolingue; quest'ultimo si può permettere di fornire la pluralità effettiva di usi tra i quali l'utente di lingua madre saprà effettuare le scelte giuste; invece il dizionario bilingue, indirizzato a un pubblico con competenza linguistica incerta, è necessariamente molto più normativo.
 Sul piano morfologico e sintattico le soluzioni adottate nel Dizionario si sono rivelate meno problematiche: infatti è fuori dubbio che occorre segnalare dentro la voce stessa le irregolarità e i dubbi morfologici legati ad esempio con la formazione del plurale. Uno straniero con una conoscenza elementare della grammatica italiana saprà che il plurale di amico è amici, quello di medico - medici; quindi, se non gli viene fornita l'informazione necessaria, formerà, sul modello delle parole più frequenti che conosce, anche incarici, obbligi, dialogi, ecc.
 Sul piano sintattico le interferenze con la lingua madre sono altrettanto numerose quanto facili in situazioni di non corrispondenza tra le strutture dei due sistemi linguistici: per dare un esempio, il corrispondente polacco del verbo aiutare (pomagac) richiede il complemento indiretto al dativo; in assenza di indicazioni sintattiche, l'utente polacco ha tendenza di riprodurre questa struttura dicendo *devo aiutare a lui, come l'utente italiano sarà incline a dire *pomagac jego (invece di jemu). Se in italiano si incontra una persona per strada, in polacco la si incontra na ulicy (*sulla strada); anche in casi come questi occorre segnalare esplicitamente la differenza nell'uso delle proposizioni al fine di evitare strutture sbagliate. Rimane comunque problematico in quale misura siamo capaci di raccogliere in una voce di dizionario varie soluzioni grammaticali: considerando ad esempio la sintassi dei locativi nei verbi di moto (andare), quali strutture occorre segnalare all'utente straniero? Andare a + complemento locativo corrisponde infatti a numerose costruzioni semifisse quali al bar, al ristorante, al cinema (con l'articolo), ma a casa, a scuola, a teatro (senza l'articolo); se specifichiamo i nomi di città (andare a Roma), dovremmo anche aggiungere i nomi di paesi (andare in Italia, in Polonia, ma nel Canada); e allora le isole? perché in Sicilia, ma a Capri? quando un'isola diventa abbastanza grande perché sia usata la preposizione in?; e come spiegare sinteticamente la differenza tra andare dal fruttivendolo, ma al mercato? dal pasticciere ma in una pasticceria? - ecco solo alcune delle difficoltà che presenta l'italiano, laddove il polacco ricorre regolarmente alla preposizione do. Tuttavia, se si vuole essere esaustivi e specificare al massimo le strutture, si arriva rapidamente alla constatazione che al di là di una certa quantità (rimane discutibile quale) di informazioni grammaticali, una voce lessicale diventa difficilmente consultabile. Bisogna accettare l'evidenza che in un dizionario cartaceo rimane impossibile stendere un elenco completo di strutture [12] e che - sempre rispettando il presupposto che un dizionario debba aiutare l'utente a comunicare in lingua straniera in modo corretto, ossia a formare frasi grammaticalmente accettabili - l'autore dovrebbe rimanere nei giusti limiti della chiarezza. Avendo in mente le esigenze dell'utente e volendogli agevolare la lettura di voci faticose, il Grande Dizionario ha adottato per le voci verbali molto complesse (andare, essere, prendere, mettere ecc.), ma anche per alcuni sostantivi particolarmente polisemici (cuore, opera ecc.), la soluzione di presentare in un riquadro una sintesi di strutture e significati.
Rimanendo nell'ambito della polisemia, una delle maggiori difficoltà a livello della stesura e della correzione redazionale è stata l'impostazione della struttura di voci polisemiche: nonostante siano state adottate procedure secondo le quali l'ordine dei significati all'interno della voce andava dal più al meno frequente, dal concreto al traslato, dal contemporaneo all'arcaico, dal comune allo specifico, non di rado, specie in voci più ampie, risultava difficile stabilire il numero di accezioni e le relazioni tra di esse. Per dare un'idea del problema, soffermiamoci sul verbo inchiodare, preso nell'uso transitivo; seguendo il principio dal concreto al traslato, dopo l'accezione (1) 'fissare con chiodi', la più generica, l'autore ha proseguito con altri due significati concreti, ma assai specifici: (2) riguardante la ferratura dei cavalli e (3) militare, 'rendere inservibile un pezzo di artiglieria'; solo in posizione (4) e (5) appaiono i significati traslati 'bloccare improvvisamente' (di macchina) e 'immobilizzare' (qualcuno nel letto). Tale scelta dell'ordine, benché conforme alle procedure adottate, pare in questo caso discutibile, visto che le accezioni (2) - da maniscalco - e (3) - militare - sono sicuramente meno frequenti oggi dei significati traslati (4) e (5). In questa e numerose altre situazioni la decisione presa è quindi in parte arbitrale; d'altro canto, l'elaborazione di un dizionario di formato grande, con numerose accezioni talvolta molto specifiche, esige che siano fissati in modo chiaro i criteri dell'ordine in cui esse dovrebbero susseguirsi. L'autore si sente vincolato a rispettare le procedure di descrizione lessicografica, ma nel contempo si rende conto che in alcuni casi questi principi non corrispondono alla sua intuizione e alle esigenze di tale voce concreta. Ne consegue l'arbitrio di cui sopra.
A livello lessicale, la ricchezza e la diversità dell'italiano sono state per gli autori e redattori del Dizionario una fonte di notevoli difficoltà. Come trattare le numerosissime varianti, grafiche, morfologiche, lessicali, legate alla diversificazione diacronica, diatopica, diastratica, diamesica della lingua? Anche se ogni lingua contiene varianti dovute a vicende storiche e evoluzioni lessicali diverse, a riforme ortografiche, a usi specifici, le forme dell'italiano in questo campo sono particolarmente ricche. Dato il formato del Dizionario e il profilo colto del suo potenziale pubblico, abbiamo deciso di includervi tante forme quanto risultava necessario, con rispettivi rinvii, senza censurarle oltremodo. Così ad esempio:
- a livello grafico: accioché, accio ché, a ciò che
difronte, di fronte
- a livello diafasico: museruola, pot. [= familiare] muserola, musarola
   cuocere, pot. [= familiare] cocere
- a livello diacronico: escludere, arch. [= arcaico]  escchiudere, ischiudere
   giubileo, arch. [= arcaico]  giubbileo, iubileo
A livello diatopico sono state distinte soprattutto forme toscane (muovere, tosk. movere) o voci specifiche per la Toscana (cianciugliare, ciantella).
Seguendo i dizionari italiani e cercando di effettuare una differenziazione dettagliata delle aree lessicali, abbiamo inoltre distinto le categorie di voci ed accezioni rare, letterarie, poetiche, seppur la frontiera tra queste tre categorie sia labile e delicata da stabilire: la forma core rispetto a cuore è poetica, letteraria, arcaica, regionale? Gli stessi dizionari monolingui non concordano nell'attribuire gli indicatori.
Abbiamo presentato solo una parte dei problemi emersi durante la stesura del materiale; queste difficoltà procedono in parte dalle dimensioni del Grande Dizionario e dal profilo colto dell'utente, al quale si voleva dare uno strumento per leggere opere letterarie in versione originale, articoli di stampa, saggi, testi scientifici. Non ci soffermiamo sulle difficoltà classiche del lessicografo legate a realtà specifiche che non corrispondono, a termini dell'arte culinaria (panzanella), vini (est est est) e prodotti alimentari (caciocavallo) che bisogna descrivere, termini di amministrazione (assessore) che hanno corrispondenti solo approssimativi. Né ci soffermeremo sui termini dei vari linguaggi settoriali - giuridico, economico, bancario, ecc. - per i quali sono state necessarie regolari consulenze di specialisti. Se il dizionario è specchio di cultura, il dizionario bilingue riflette due culture di due popoli, storie, istituzioni e mentalità diverse. All'incrocio di due mondi, inevitabilmente sorgono peculiarità ed elementi di realtà difficilmente traducibili.

Uno dei  rimproveri mossi al Dizionario riguarda la presenza limitata nel corpus lessicale delle neo-formazioni degli ultimi anni, derivati prefissati (neosposa, multifarmaco) e sufissati (scannerizzabile, italianese, singletudine), composti (giallonero, sparabattute, cioccolatomania) e voci polirematiche (incontro chiave, emergenza incendi, intervista-fiume, popolo della disco). Ogni parlante, e a maggior ragione l'autore di un dizionario, rimane affascinato dai meccanismi sottostanti alla formazione lessicale non solo in italiano, dalla potenzialità creativa delle lingue sfruttata con successo nella stampa, nella pubblicità, nel linguaggio politico. Anche in questo campo dobbiamo comunque mantenere una certa riserva, seppur possa sembrare a prima vista infondata: un dizionario che non sia esplicitamente dizionario di forme nuove [13], deve muoversi cautamente nel fiume di neologismi - belli, ricchi, divertenti, sintetici, espressivi che siano - che inonda il mercato linguistico. Compito di un Grande Dizionario è raccogliere il fondo lessicale di una lingua, al di sopra delle variazioni effimere e delle formazioni occasionali dovute a situazioni politiche, economiche o sociali specifiche. Un'opera che si propone di servire per anni non può appesantirsi oltremodo né di formazioni labili (come i derivati dai nomi di politici - berlusconiano, berlingueriano), né, a maggior ragione, straniere (batterio killer, baby bandito) che dopo un tempo relativamente breve andrebbero rimosse. Anche qui bisogna mantenersi nei limiti giusti, perché un lettore colto capirà filoarabo o bio-produzione anche se non li trova nel dizionario; anzi, ci si può addirittura chiedere se andrà a consultare un dizionario per internazionalismi del genere. Abbiamo cercato di rendere il Dizionario moderno nella misura del possibile, comunque, data la rapidità con cui oggigiorno evolve il lessico, ci è sembrato più saggio rinunciare a gran parte delle formazioni occasionali, nonostante la loro frequenza nei media. In questo abbiamo del resto seguito i modelli dei dizionari italiani monolingui, sperando di avere, una volto concluso il Grande Dizionario, il piacere di aggiungervi un fascicolo di neoformazioni.
 Nonostante gli sforzi congiunti dell'équipe di autori e redattori, siamo coscienti che il Dizionario possa presentare il difetto che spesso accompagna opere estese nel tempo, quello di mancanza di omogeneità tra le parti. Nel nostro caso, questo rimprovero  tocca principalmente la scelta delle voci. Infatti il primo volume (lettere A-E) porta l'impronta da un lato dei tempi in cui è stato elaborato, quando il punto di riferimento principale degli autori era il Vocabolario dello Zingarelli (nell'edizione del 1970), affiancato dal Dizionario della lingua italiana di G. Devoto e G.C. Oli (nell'edizione del 1971), dall'altro - dell'amore di J. Galuszka per Dante e la letteratura italiana antica, per cui alcuni tra gli arcaismi e fiorentinismi letterari non sono stati eliminati. In confronto, i due volumi successivi (F-O e P-Sezzo) sono più moderni, sia perché gli autori avevano già maggiore esperienza e operavano con più selettività, sia perché per la stessa casa editrice era ormai diventato chiaro che tante voci arcaiche sarebbero inutili in un dizionario bilingue, seppur indirizzato a un pubblico colto, sia perché finalmente i tempi erano cambiati e le esigenze dell'economia di mercato portavano la stessa casa editrice, nella persona del nuovo direttore Teresa Korsak, a voler accelerare il ritmo dei lavori. Che l'utente consideri quindi con indulgenza questa imperfezione del primo volume che, se verrà il giorno della ristampa, cercheremo di eliminare.

Comunque sia, se abbiamo saputo, almeno in parte, risolvere i maggiori problemi posti dal Dizionario, lo dobbiamo all'Accademia della Crusca: ai suoi presidenti, Giovanni Nencioni e Francesco Sabatini, al professor Carlo Alberto Mastrelli che ci ha introdotti nella lessicografia italiana, alle professoresse Nicoletta Maraschio e Teresa Poggi Salani che ci hanno guidati nella selva del lessico italiano e dei suoi usi, ai numerosi studiosi che abbiamo conosciuto nella sala della Biblioteca e con cui abbiamo scambiato osservazioni prima sulla lingua e in seguito, diventati amici, anche nella vita. Consideriamo queste amicizie un bene prezioso, in quanto hanno arricchito il nostro Dizionario di una prospettiva umana senza la quale ogni lavoro appare arido.
Vorremmo inoltre esprimere la nostra gratitudine al personale dell'Accademia della Crusca, di cui abbiamo sempre ricevuto appoggio e aiuto in tutte le situazioni, non solo nel campo scientifico: in particolare ai bibliotecari ormai in pensione, Alvaro Mari e Giusepppina Vitale, a Giuseppe Abbatista e Delia Ragionieri che ci  hanno guidati nel labirinto degli scaffali, consigliandoci nelle nostre scelte; a Silvia Franchini che ha preparato ciascuno dei nostri soggiorni rimuovendo gli ostacoli del mondo burocratico-amministrativo; a Marcello e Ebe Guagni, che ci hanno aspettato, non di rado fuori dell'orario di lavoro; a tutti coloro che, con molta disponibilità e gentilezza, ci hanno aiutato nelle difficoltà materiali e linguistiche, facendoci sentire in Accademia come a casa, a Firenze e in Italia come in una seconda patria. Si possono considerare co-autori del Dizionario, in quanto senza di loro il nostro lavoro non sarebbe stato né così fruttuoso, né così gradevole. In quest'occasione più che mai ogni autore sente quanto il suo lavoro debba al contributo di altri, di quelli che lo hanno preceduto sulla strada della scienza e di cui consulta le opere, come di  quelli che gli stanno accanto, lo incoraggiano, aiutano a risolvere i dubbi e sostengono nei momenti di debolezza.

Avvicinandosi alla fine della parte italiano-polacca del Dizionario, e facendo il bilancio degli anni dedicati a quest'opera, dobbiamo constatare che il lavoro sul Dizionario è stato per ognuno di noi fonte di ricchezza sul piano intellettuale, linguistico, personale ed emotivo: inoltrandoci nel fondo lessicale italiano, così fecondo attraverso i secoli e variegato per il suo aspetto dialettale, flessibile per le formazioni neologiche e nel contempo stabile nella sua tradizione scritta, abbiamo capito meglio lo spirito della lingua italiana, se è lecito riprendere il concetto di W. von Humboldt, e con esso lo spirito dei suoi parlanti. E siccome capire con l'intelletto non di rado significa anche abbracciare con il cuore, abbiamo fatto nostra la lingua italiana, i suoi parlanti, l'Italia. Speriamo che il Dizionario, frutto di quasi trent'anni di lavoro, possa riflettere questi sentimenti e contribuire a diffondere tra i nostri connazionali l'amore per l'Italia, gli italiani e l'italiano.