Il Valdarno: i perché del genere maschile

Roberto B. da Figline Valdarno e Claudia P. da Montevarchi, due centri del Valdarno Superiore, ci pongono la stessa domanda: per quale motivo si usa Valdarno al maschile e non al femminile pur essendo analizzabile come Val(le) d’Arno?

Risposta

Nel Dizionario di toponomastica: storia e significato dei nomi geografici italiani di Giuliano Gasca Queirazza et al. (Torino, UTET, 1990) alla voce Valdarno si legge:

Il nome è usato in Toscana per indicare due tratti della valle dell’Arno non precisamente definibili. L’uno, il Valdarno di Sopra (o Superiore), si stende per circa 40 km a monte di Firenze; è compreso tra la gola dell’Imbuto, a valle di Arezzo, e la stretta di Incisa. L’altro, il Valdarno di Sotto (o Inferiore), corrisponde al tratto compreso tra la gola della Gonfolina, a valle della conca di Firenze, e la confluenza dell’Era (cfr. LUI XXIV, 21).

Nel DOP alla stessa voce (per cui si dà anche, come “meno comune”, la forma non univerbata Val d’Arno) si specifica che si tratta di un “top[onimo] m[aschile]” il quale ricorre anche in associazione alla denominazione di cinque comuni dell’area, come appunto Figline Valdarno luogo da cui ci scrive Roberto. Si riporta poi un esempio da Boccaccio, “io ho un podere verso il Valdarno di sopra”. In calce troviamo l’annotazione: “anche la Vald’Arno, oltre che il Val d’Arno, per indicare (meno com.) tutto quanto il bacino dell’Arno”(qui e nei successivi esempi i grassetti sono miei).

Sappiamo quindi che si tratta di una voce maschile, frequentemente resa in grafia univerbata e distinta da quella femminile che appare invece sempre in forma scissa. La forma femminile indica l’intera valle individuata dal corso del fiume, dal Capo d’Arno, la sorgente sul Monte Falterona, fino a Bocca d’Arno, la sua foce nei pressi di Marina di Pisa. Il toponimo maschile Valdarno si riferisce a due distinte zone, una a monte e una a valle di Firenze, la cui “somma” non copre comunque l’intera valle (ne sono escluse sia Pisa, sia Firenze, nonché la prima parte del bacino dalla sorgente fino al punto in cui, come scrive Dante in Purgatorio, XIV, v. 48 l’Arno “torce il muso” ad Arezzo e cambia direzione).

L’alto bacino dell’Arno ha dunque figura d’un U, l’una delle due gambe essendo formata dal Casentino e l’altra dal Valdarno sopra Firenze, ove Montevarchi e S. Giovanni con Figline e Pontassieve sono le terre principali. A Pontassieve l’Arno piega a ponente e con lungo corso rettilineo va verso il mare, formando la Vald’Arno inferiore che è la parte più cospicua del suo territorio (Silvio Pieri, Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma, Accademia dei Lincei, 1919, p. 1).

Il passo mostra un’opposizione di genere tra il Valdarno, quello di sopra, e la Vald’Arno inferiore, ma è forse possibile ipotizzare che in questo caso ci si riferisse alla valle oltre Pontassieve e non solo a quel particolare territorio indicato con Valdarno inferiore.

Anche nel sito della Regione Toscana si parla ufficialmente dei Consorzi di bonifica di Alto, Medio e Basso Valdarno, di Valdarno aretino o pisano, di manifestazioni denominate Mercatale del Valdarno. Quest’ultima sequenza ci dà lo spunto per un’ulteriore osservazione: se la forma Valdarno viene usata senza specificazione di solito ci si riferisce a quello di sopra. Troviamo un esempio nel titolo di questa raccolta di lettere di Filippo Nesti, paleontologo e conservatore del Museo di fisica e storia naturale di Firenze, a Ottaviano Targioni Tozzetti, edite a Pisa nel 1825 in cui si citano fossili reperiti nel Valdarno superiore.

      

Dalla citazione riportata nel DOP sappiamo che l’uso del maschile era già testimoniato nel Trecento; abbiamo la possibilità di verificare almeno in parte la diffusione di quest’uso attraverso la ricerca sul corpus della Bibit Biblioteca Italiana.

In un testo riferibile al XIV secolo, la Cronicadi Pisa, troviamo attestazioni del maschile in riferimento a due territori distinti benché non identificabili in modo certo con la partizione più recente:

[…] e puosensi in prima a oste nello Valdarno di Firenze, e poi a San Casciano di Firenze, là dove fue il popolo e cavalieri di Pisa molto affannati, e straziati in molti paesi per sua gente, et per quelli di San Mignato.

Ma li Fiorentini, quando era l’oste a Pistoja, corsero su lo terreno di Pisa, e arsono gran parte dello Valdarno di Pisa.

In altri testi dello stesso periodo la forma è introdotta da preposizione semplice (in Valdarno, di Valdarno) per cui non possiamo dedurne il genere; possiamo però ipotizzare che quest’uso, molto diffuso nei secoli successivi, sia testimonianza dello status di toponimo del termine e non di generico sintagma indicante la valle del fiume Arno. Nella trecentesca Nuova cronica di Giovanni Villani troviamo esempi sia con la preposizione semplice, sia con quella articolata, sia con articolo o aggettivo. In molte delle attestazioni la forma è introdotta da preposizione semplice di per indicare la provenienza di un casato (“Carlino de’ Pazzi di Valdarno”) o è associata al sostantivo paese (che non è comunque da intendersi nel significato odierno):

E per le dette cavalcate il paese di Valdarno e di Greti le terre non murate stavano in grande tremore.

Nello stesso testo, laddove deducibile, il genere è sempre maschile.

E questo fiume d’Arno corre quasi per lo mezzo di Toscana, scendendo per le montagne de la Vernia, ove il beato santo Francesco fece sua penitenzia e romitaggio, e poi passa per la contrada di Casentino presso a Bibbiena e a piè di Poppio, e poi si rivolge verso levante, vegnendo presso a la città d’Arezzo a tre miglia, e poi corre per lo nostro Valdarno di sopra, scendendo per lo nostro piano, e quasi passa per lo mezzo de la nostra città di Firenze. E poi uscito per corso del nostro piano, passa tra Montelupo e Capraia presso a Empoli per la contrada di Greti e di Valdarno di sotto a piè di Fucecchio, e poi per lo contado di Lucca e di Pisa, raccogliendo in sé molti fiumi, passando poi quasi per mezzo la città di Pisa ove assai è grosso, sicché porta galee e grossi legni; e presso di Pisa a V miglia mette in mare; e il suo corso è di spazio di miglia CXX.

Come si può vedere anche la denominazione dei due territori è già una di quelle usate ancor oggi. Ci sono poi due attestazione di Valdarno di ponente in luogo di quello di sotto.

A parte le attestazioni nella Cronica di Pisa, in Boccaccio e Villani, gli altri testi del secolo XIV mostrano sempre la preposizione semplice (in Valdarno o di Valdarno); così anche la maggior parte di quelli quattrocenteschi, a esclusione del Memoriale di Giovanni Portoveneri in cui il toponimo è usato al maschile (vi torna ad apparire anche il Valdarno di Pisa) e del Comento di Cristophoro Landini Fiorentino sopra la Comedia di Dante Alighieri che mostra un’occorrenza al maschile (le altre sono sempre introdotte da preposizione semplice).
Autori del Cinquecento usano il maschile, come Machiavelli e Guicciardini, o, come il Vasari, la forma introdotta da preposizione semplice. Interessante una testimonianza nella Comedia di Dante Aligieri con la nova espositione di Alessandro Vellutello (1544):

Indi la valle, mosso c’hebbe questo Demonio i nuvoli e ’l vento dice, che venuto la notte, coperse di nebbia quella parte de la valle, per la quale Arno corre, e che si contiene da Pratomagno (monte sopra Firenze XX miglia, che divide Valdarno dal Casentino) fin al gran giogo de gli Apennini […] (commento a Purgatorio, V, 115-123).

In questo passo, Valdarno è usato senza indicazione dell’articolo, a differenza di Casentino (la porzione di territorio corrispondente al bacino del primo tratto dell’Arno) che è introdotto dalla preposizione articolata.

Il corpus Bibit testimonia per i secoli successivi ancora l’uso della preposizione semplice o del maschile. Anche nel caso delle molto più rare testimonianze della grafia scissa Val d’Arno il genere, se deducibile, è sempre maschile dalle origini fino all’Ottocento.

D’altra parte, la forma del sintagma con il sostantivo valle non apocopato ci risulta usata nel corpus in un unico caso in cui la sequenza è interrotta da un aggettivo:

Finalmente arso tutto ne’ dintorni, se ne tornarono a Peretola; passato l’Arno abbruciarono il borgo delle Lastre; per la valle di Pesa entrarono nel piano d’Empoli, ed ogni cosa vi guastarono. In seguito scorrendo la valle inferiore dell’Arno, con gran preda, gran numero di prigioni e somma allegrezza, si resero alla patria… (Memorie istoriche della città di Pisa, Livorno, 1682).

L’indagine è limitata a questa particolare raccolta, quindi può indicare una tendenza, non fornire valori assoluti. Ma anche nel corpus di Google libri le attestazioni non sono molte, almeno non quelle riferibili a uno dei territori individuati dalla forma univerbata. Un caso si trova nella Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti (in Vinegia: Appresso Pietro de i Nicolini da Sabbio, 1567) in cui è attestato Valle di Arno riferito all’area del Valdarno superiore.

E quivi al presente si vedono tutti coltivati, et lavorati che paiono vaghi giardini, che sono nominati Valle di Arno (c. 50v.).

Di poi essendo liberato della prigione fu ritornato alla pristina signoria da Gualtiero Duca di Atene di Fiorenza tiranno, et quel da’ Fiorentini scacciato, costui fece guerra con detti Fiorentini, et Perugini, bruciandoli le castella di Valle di Arno, et si ridusse a monte Varco (c. 63v.).

Per quel che riguarda il perché del genere maschile è ipotizzabile che nel sintagma, avviatosi fin dai primi secoli verso l’univerbazione, abbia perduto “peso morfologico” la cosiddetta testa, cioè valle (tanto più perché viene troncata in val), mentre ne abbia acquisito il determinante ovvero Arno che ha genere maschile, come immediatamente deducibile dalla terminazione in -o.

Occorre dire che non è del tutto da escludere la possibilità che proprio valle sia usato al maschile o, anche, che val sia apocope dell’antica variante maschile vallo. Il TLIO attesta infatti valle maschile nelle Rime (1294) di Guittone

Ahi, che laid’è di gran monte avallare / e nel valle afondare: / nel valle d’ogne valle ed eternale / sentina a tutto male...

e al plurale nella Composizione del mondo (1282) di Restoro d’Arezzo

E s’alcuno omo tornasse e·lla sua provinzia en meno de mille anni, non conosciarea le sue contradie, ché trovarea travalliati e variati li monti, e li valli, e li rii, e li fiumi, e le fonti, e le cità, e le castella, e le ville, e lo parlare de le genti...

Lo stesso TLIO (sv valle) testimonia vallo nella Leggenda di santo Giosafà del senese Neri Pagliaresi (sec. XIV). Anche il GDLI lo documenta nelle rime del pistoiese Meo Abbracciavacca (vissuto a cavallo tra XIII e XIV secolo) e nel Filostrato del Boccaccio, oltre che in Carducci (Degli spiriti e delle forme nella poesia di Giacomo Leopardi, 1898) e Vittorini (Diario in pubblico,1957).

In ogni caso, nell’ipotesi, più probabile di valle al femminile, la o finale insieme alla forza semantica di Arno possono aver svolto un ruolo determinante per l’affermazione del maschile. Si legga, infatti, quanto scrive, nel sec. XVI, il Salviati:

[…] ne’ nomi delle città, delle castella, de’ fiumi, de’ monti, e finalmente di tutte l’altre cose, dalle persone in fuori, l’articolo s’accomoda alla terminazione […] (Lionardo Salviati, Degli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, Libro III, Della lettera Cap. I).

Esempi di analoghi passaggi sono testimoniati nella stessa Toscana per altre valli di corsi d’acqua di genere maschile. Da un sondaggio condotto su Google libri “il Valdiserchio” supera le 250 attestazioni, in testi che vanno dal XVI secolo fino ai nostri giorni, di contro alle meno di 80 trovate per “la Valdiserchio”.

Distesesi l’essercito de Fiorentini non solo a dare il guasto in quelle parti del contado di Pisa, nelle quali per l’adietro si era dato, ma ancora guasto a in san Rossore, et in Barbericina, et dipoi il Valdiserchio, et in Valdosoli luoghi congiunti a Pisa dove, quando l’essercito era stato meno potente, non si era potuti andare senza pericolo (Francesco Guicciardini, La historia d’Italia ... nuovamente ... ristampata & da molti errori ricorretta, Venezia, Bevilacqua, 1565).

Il conflitto [...] avrebbe visto la vittoria della fazione “collettivista” su quella “signorile”, con uno smantellamento delle incoative forme di signoria che in quegli anni si stavano realizzando anche nelle aree rurali prossime a Pisa, come il Valdiserchio (Alessio Fiore, Il mutamento signorile. Assetti di potere e comunicazione politica nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale (1080-1130 c.), Firenze University Press, 2017, p. 125).

Si noti che in queste due testimonianze la forma maschile sembra riferirsi a un tratto molto circoscritto della valle del Serchio: si riproporrebbe quindi una distinzione in base al genere analoga a quella per Valdarno.

Non raggiunge le venti testimonianze, qualcuna anche novecentesca, “il Valdibisenzio”; di esse più di una fa riferimento al Vocabolario dantesco: o, Dizionario critico e ragionato della Divina commedia di Dante Alighieri di Ludwig Gottfried Blanc “recato in italiano da G. Carbone” (Firenze, G. Barbèra, 18772) che alla voce Bisenzio scrive:

Bisenzio, piccolo fiume di Toscana che passa vicino a Prato e sbocca nell’Arno sotto Firenze di contro alla Lastra, Inf. XXXII, 56. È da maravigliarsi che tutti i comentatori eccettuato il solo Benvenuto, chiamano il Valdibisenzio: Falterona; errore manifesto, perché Falterona è nome del monte […].

Poco più usato risulta “il Valdombrone”, per cui le testimonianze sembrano fermarsi al XVIII secolo.

[…] il Duca teneva tutta la Valdichiana di sopra, una parte di quella di sotto, un’altra del Val d’Asso, del Valdombrone, e della Maremma, e quasi tutta la Montagnuola, l’altra parte obbediva al governo di Siena, che erano le Terre di Giusdino, Montieri, Gerfalco, Monticiano, e nel Valdombrone Asciano, Monte S. Marìa, Armajuolo, Castelnuovo, e Buonconvento […](Giovanni Antonio Pecci, Continuazione della Memorie storico-critiche della città di Siena fino agl’anni MDLIX parte IV, Siena, Vincenzio Pazzini, 1760).

Da quest’ultimo passo deduciamo che anche Val d’Asso (oValdasso) può essere usato al maschile: lo troviamo infatti come tale anche in tempi piuttosto recenti (almeno fino agli anni 90 del Novecento).
Infine Val di Merse, mai univerbato e non terminante per -o, che è solo femminile nel corpus di Google libri, risulta usato al maschile in alcuni testi contemporanei reperibili in rete.

[...] cacciagione, sia in umido che alla griglia, il cacio pecorino, la "minestraccia" del Val di Merse, i funghi, la trippa della Val d’Elsa ed il cinghiale di Monticiano (Siena, Val d’Orcia e Val di Chiana senese, https://www.localidautore.it/resort/siena-val-d-orcia-e-val-di-chiana-senese-37).

Nella tabella sottostante sono riportati i consumi di energia elettrica del circondario del Val di Merse relativi all’anno 1999 suddivisi per settori […] (Comune di Sovicille Piano d’azione per l’energia sostenibile
www.comune.sovicille.siena.it/allegati_atti%5C1894%5CPAES%20antonio.doc).

Nel caso di Valdarno, ha probabilmente contribuito a sostenere il genere maschile il fattore legato alla storica ripartizione del territorio. Abbiamo già visto che i due Valdarno, inferiore e superiore, differenziandosi in questo dalla valle dell’Arno, corrispondono a due porzioni di territorio circoscritte e non corrispondenti alle due metà della valle (la prima parte del bacino dell’Arno corrisponde al Casentino e non è compresa nel Valdarno superiore, mentre il Valdarno inferiore non comprende l’ultimo tratto prima della foce; inoltre il tratto che bagna Firenze non rientra in nessuno dei due). Queste porzioni possono corrispondere, a seconda della prospettiva di osservazione, a specifiche denominazioni, tutte di genere maschile. Oltre a territorio, attestato soprattutto nel XIX secolo, comprensorio, usato a partire dal XX secolo, e distretto,impiegato ai nostri giorni in riferimento alle strutture sanitarie o industriali, in opere di argomento geomorfologico troviamo la forma circondario.

Dal punto di vista specificamente amministrativo, dal XV secolo le due porzioni corrispondenti al Valdarno inferiore e superiore costituiscono vicariato:

L’istituzione di vicariati stabili all’interno del contado e distretto fiorentino rientra nel piano di potenziamento politico amministrativo operato dalla Città all’inizio del Quattrocento. […] Il Vicariato di Valdarno o di San Giovanni è citato per la prima volta nel 1408 (ASF, Tratte, 66, c. 24r); scrive Tarassi: compito fondamentale dei vicari era la difesa dei territori facenti parte del vicariato e tutte le altre funzioni, nel campo militare, dell’ordine pubblico, annonario e fiscale erano derivate da questa (Valentina Cimarri, ‎Gabriella Pasquali, Cascia nel Quattrocento: lo Statuto della Lega del 1404, Poggibonsi (Siena), Lalli, 2001, vol. 2 “Fonti e documenti”, p. 58, nota 9).

Nel 1406, nel vicariato di Valdarno e Valdiserchio, erano state ritagliate sei podesterie dalle 14 originarie: Ripafratta, Calci, Vico, Cascina, S. Maria a Trebbio e Pontedera (“Bollettino storico pisano”, vol. LXI, Pisa, Pacini, 1992, p. 78).

Questa forma di ripartizione amministrativa, distinta dalle città (Pisa, Pistoia, Arezzo, Volterra, Cortona, “Borgo a Santo Sepolchro”), dalle “Terre grosse” (Terra di Prato, di San Gimignano, di Colle, di Montepulciano, di Castiglion Fiorentino) e da capitanati e potesterie, aveva comunque una certa rilevanza se il “Vicariato di S. Giovanni di Valdarno di sopra” nel 1562 contava 9.248 “fuochi”, ovvero nuclei familiari, corrispondenti a 47.262 “bocche”(Popolazione dell’anno 1562 in Legislazione toscana raccolta e illustrata dal dottore Lorenzo Cantini, Tomo II, Firenze, Stamp. Albizziniana da S. Maria in Campo per Pietro Fantosini e figlio, 1801. Le citazioni precedenti sono tratte dalla Legge Dell’Illustriss., & Eccell. Sig. il Sig. Duca di Fiorenza Sopra la Gabella della Macine passata nel suo Consiglio de’ Quarantotto el dì 9. Dicembre 1553. ab Inc., in Legislazione toscana…, cit.). I due Valdarno hanno mantenuto lo status di vicariato fino al XIX secolo.

Tale specifica “etichetta” amministrativa caratterizzata da un sostantivo maschile potrebbe aver contribuito alla stabilizzazione del genere maschile del toponimo, che d’altra parte si rafforzava progressivamente come una unità lessicale. Inoltre, non è del tutto da escludersi l’influenza del genere maschile del nome di altre regioni vicine come il già citato Casentino, il Mugello, il Chianti.

Avrebbero concorso quindi alla scelta del genere maschile e alla sua stabilizzazione una regola fonologica (i nomi che terminano in -o sono normalmente maschili), una o più regole semantiche: il genere maschile dell’iperonimo – territorio, distretto, circondario o vicariato – “si trasmette” al toponimo; altri toponimi indicanti partizioni di territorio vicine sono maschili (cfr. in generale Anna M. Thornton, L’assegnazione del genere in italiano, In Sánchez Miret, F., (a cura di), Actas del XXIII Congreso Internacional de Lingüística y Filología Románica, vol. I. Tübingen: Niemeyer, 2003, pp. 467-481).
Infine il processo potrebbe esser stato anche sostenuto dalla necessità di mantenere la distinzione con la più generica, almeno da un punto di vista amministrativo, valle lungo l’intero corso dell’Arno,distinzione che sarebbe stata poco avvertita se affidata alla sola materia fonetica/grafica di la Valdarno ‘parte circoscritta del bacino dell’Arno’ vs la valle d’Arno odell’Arno ‘intero bacino del fiume Arno’.
Una curiosità: la Valdarno ha indicato fino alla seconda metà del Novecento una società elettrica a livello nazionale, mentre ancora adesso si riferisce a una razza di polli allevati appunto nel Valdarno superiore.

 

A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

31 luglio 2018


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