Egli e lui soggetto

A tutti coloro che ci chiedono quale sia la forma corretta del pronome soggetto di terza persona, riproponiamo la risposta di Francesco Sabatini apparsa nel n.1 (ottobre 1990) della nostra rivista La Crusca per voi.

Risposta

«Alunni della Scuola media "L.B. Alberti" di Mantova: noi abbiamo difficoltà ad usare nel modo giusto LUI e EGLI come soggetti: c'è una regola semplice da seguire? Di solito le grammatiche non sono molto chiare in proposito.

Egli e lui soggetto

La scelta tra egli e lui, e così anche tra ella e lei e tra essi, esse e loro, ha angosciato gli scrittori italiani fin dall'inizio del '500, quando i grammatici (per primi il Fortunio e il Bembo) si scagliarono contro l'uso delle forme oblique del pronome in funzione di soggetto (lui, lei, loro derivano infatti dai casi obliqui del latino, mentre le altre forme derivano dal nominativo). Quest'uso era presente già nel '300, si ampiò molto nel '400 e da allora permane vivo nella lingua effettivamente parlata e nelle scritture più direttamente comunicative. I puristi continuarono a censurarlo drasticamente, fin quando il Manzoni si contrappose a questa condanna, introducendo in massa nella seconda e definitiva edizione del romanzo (1840) le forme lui, lei, loro. Da allora alcune grammatiche hanno aperto un po' una porta a questo uso, di solito cavandosi d'impaccio col dire che è adatto allo stile "semplice", "colloquiale", "più comune", oppure elencando una minuta serie di casi in cui non può essere evitato. Altre grammatiche tacciono del tutto sull'argomento.

Assodata l'antica esistenza di quest'uso, occorre darne una spiegazione, per poter formulare una regola che non sia di pura "autorità". La linguistica odierna lo spiega riconducendola a due processi comunicativi che illustro qui di seguito.

1. In molte espressioni linguistiche l'elemento che consideriamo "soggetto" in realtà ha una doppia funzione: come elemento della frase fornisce al verbo il suo principale punto di riferimento (che determina anche la persona e il numero del verbo stesso), ma nell'ambito dell'intero discorso che si sta svolgendo, cioè con riferimento al senso dell'intero messaggio prodotto in una determinata situazione, lo stesso elemento indica più ampiamente il cosiddetto "tema", sul quale si viene a dare una nuova informazione. In questo caso è come se la menzione di quell'elemento fosse accompagnata da espressioni quali per quanto riguarda..., o riferendoci a... e simili. E queste espressioni comportano l'uso di una forma obliqua.

In altri termini: in una pura costruzione linguistica fuori situazione (una "frase"), abbiamo un semplice soggetto che accompagna un predicato, come in Mario parte o, con il pronome, egli parte; in un discorso reale, invece, nel quale si è già parlato di Mario e si deve poi far sapere che cosa fa quella persona, magari rispetto ad altri, noi abbiamo bisogno di dire che per quanto riguarda Mario (o lui) parte. Quest'espressione diventa, in forma più concisa, lui (,) parte.

2. Il secondo caso si ha quando l'elemento che fa da soggetto del verbo è posposto a questo: è Mario, arriva Mario o, col pronome, è lui, arriva lui. Questa volta l'elemento che fa da soggetto non ripropone un'informazione già data (non fa da tema), ma dà per la prima volta quell'informazione: solo in quel momento apprendiamo che si tratta di Mario. L'informazione nuova si definisce "rema" (termine che viene dal greco e vuol dire 'discorso'): di solito è posposto al verbo, come si vede da espressioni comunissime come me l'ha detto Luisa, erano partiti tutti, piovono sassi, rispondi tu, ecc. (parlando si può anteporre al verbo, ma allora bisogna marcarlo con intonazione forte: MARIO è; LUISA me l'ha detto; TU rispondi, ecc. Ebbene, in questa posizione e funzione il soggetto-rema viene ad assumere quasi il ruolo di oggetto: il verbo esprime già l'idea di un evento che si verifica e poi l'elemento nominale indica su chi e su che cosa va proiettata quell'informazione. Ecco che il pronome, con la forma obliqua, esprime questa prospettiva mentale del parlante.

Una conferma a questa spiegazione viene dal confronto col francese. In questa lingua si dice lui, il va partir ('quanto a lui, parte') e c'est lui ('è lui'). Con la differenza che il francese richiede sempre anche la forma puramente soggetto (il o ce), mentre l'italiano, avendo verbi ricchi di desinenze ben marcate anche nella pronuncia, può fare a meno del puro soggetto: questo è come sottinteso o ricompreso nella forma che fa da "tema" o da "rema".

Dalla spiegazione possiamo passare alla regola. In termini semplificati questa può essere formulata come segue.

Le forme lui, lei, loro funzionano normalmente e correttamente da soggetto tutte le volte che:
a. il soggetto è anche "tema": ossia quando sentiamo che in realtà vogliamo dire "per quanto riguarda lui (o lei o loro)" e simili, il che certamente accade, tra l'altro, quando il soggetto è accompagnato da anche, ancora, proprio, perfino, nemmeno, neanche, neppure, stesso, medesimo;
b. il soggetto è anche "rema" e quindi è posposto al verbo (o ad ecco, che vale come verbo), anche se questo è sottinteso come accade in espressioni del tipo contento lui ('se è contento lui'), non farò come lui ('...come fa lui'), beato lui! ('beato è lui!'), nelle risposte: Chi è stato? - Lui!
Ricordiamo che il soggetto-rema può essere anche anteposto, purché sia marcato da un'intonazione forte, avvertibile solo con la voce.

Negli altri casi, quando il pronome serve semplicemente a mantenere la continuità del riferimento a una persona, quando cioè ha pura funzione "anaforica", sono d'obbligo le forme nominativali, sapendo però che ella ha acquistato un sapore molto ricercato, per cui ha ceduto largamente il posto a lei.

Occorre ora un'ultima osservazione, di non poco conto. Quando non ricorrono le condizioni del caso a. o del caso b., in italiano si può fare spesso a meno di usare il soggetto, perché la forma del verbo lo segnala sufficientemente. È quel che accade soprattutto nell'uso orale, quando la "situazione" circostante rende abbastanza chiaro il riferimento e d'altra parte si ricorre più volentieri alla ripetizione del nome (che si imprime più facilmente nell'orecchio). Ecco perché le forme egli, ella, e anche essi ed esse, sono diventate assai rare nel parlato e vengono conservate nello scritto, o meglio nei tipi di scrittura che si allontanano dal parlato.

Si tratta certamente di una regola complessa. Ma prima di tutto bisogna rendersi conto che regole "semplici" e nette nell'uso della lingua non ci sono quasi mai, bisogna poi sapere - attraverso lo studio della lingua - che il cammino dell'italiano è stato abbastanza tormentato, tra le spinte di un uso vivo, che però non trovava un suo centro di unificazione e di sanzione nella lingua realmente parlata da una società colta unificata, e le spinte di una codificazione fatta (necessariamente) a tavolino e che è stata unico fattore di stabilità. Queste erano le condizioni permanenti fino al processo di unificazione nazionale. Poi le cose sono andate cambiando e oggi ci troviamo un po' a metà del guado: dobbiamo accogliere con maggiore larghezza le spinte (se razionali e funzionali) del parlato, ma anche tener conto di una tradizione scritto-grammaticale che esercita ancora la sua influenza sul nostro orecchio. Ecco che alcuni dicono e scrivono tranquillamente anche lui, lui stesso, altri preferiscono anch'egli, egli stesso. Qui diventa una questione di stile.

I grammatici del '500, e tanti altri dopo di loro, non si erano resi conto del meccanismo informativo che regola il discorso e formulavano regole sulla base di criteri astrattamente razionalistici (soggetto = nominativo latino = ille da cui egli) o di puro gusto. Ma cadevano in queste forzature perché non se la sentivano di accettare l'uso realmente parlato (quale sarebbe stato quello di un'alta società intorno a una corte e in una vera capitale), come invece accadeva in buona misura in Francia o in Spagna. In Italia, il primo ad invertire la rotta e ad annunciare i tempi nuovi fu in sostanza Manzoni (anche se esagerò nel riprodurre il modello del fiorentino parlato moderno): riscrivendo i Promessi Sposi aprì le porte al sistema dei pronomi soggetto come in pratica lo usiamo nel parlato: forme oblique per la funzione di soggetto-tema o soggetto-rema, eliminazione del soggetto quando non necessario, rari usi delle forme nominativali o ripetizioni del nome. Leggere alcuni esempi di varianti tra le edizioni del 1827 e quella del 1840 (in qualche grammatica sono riportati) è molto istruttivo».

Francesco Sabatini

8 luglio 2011


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