Su questa risposta non ci viene a piovere!

Molti lettori, tra cui Vittoria D., dalla provincia di Frosinone, e Angelo U., dalla provincia di Roma, ci scrivono per avere delucidazioni sulla correttezza e la legittimità della costruzione venire a piovere, che secondo Carmelo A., dalla provincia di Lecce, sarebbe “al momento di gran voga tra i cronisti sportivi”.

Risposta

 

Su questa risposta non ci viene a piovere!

 

La costruzione venire a piovere è una struttura perifrastica di tipo verbale, formata dalla combinazione di due o più elementi, che nel loro insieme esprimono un significato unitario, indicante, nel caso specifico in esame, l’imminenza dell’azione espressa dal verbo all’infinito (piovere) e il suo collocarsi in un futuro prossimo (‘pioverà, sta per piovere’).

 

Una simile costruzione non rappresenta certamente un unicum nella nostra lingua, in cui esistono numerose formazioni perifrastiche impiegate per indicare l’aspetto del verbo, ossia la particolare modalità di svolgimento dell’azione o del processo espressi dal verbo nucleare della perifrasi. Tali perifrasi sono di norma costituite da un verbo fraseologico (come mettersi, stare, andare, cominciare, continuare, finire, ecc.), unito a un verbo di modo indefinito (infinito o gerundio) tramite una preposizione o semplicemente giustapposto a esso: all’interno della costruzione, il verbo fraseologico svolge appunto la funzione di specificare la particolare modalità tempo-aspettuale del verbo di modo non finito (chiamato anche verbo nucleare), indicando la fase del processo espresso dallo stesso e il suo grado di realizzazione in un dato momento. Si distinguono perifrasi verbali aspettuali, che esprimono l’imminenza dell’azione (come per es. stare per / accingersi a / essere sul punto di / essere lì lì per + infinito, ecc.); perifrasi di tipo incoativo, che indicano invece l’inizio del processo (per es. cominciare a / iniziare a / mettersi a + infinito, ecc.); perifrasi continuative, che designano il carattere durativo o iterativo dell’azione (continuare a / seguitare a / insistere a + infinito, ecc.); e infine perifrasi terminative, che indicano un’azione che si conclude temporaneamente o per sempre (smettere di / finire di / cessare di + infinito, ecc.).

 

La perifrasi venire a piovere, che presenta, come abbiamo già detto, una evidente caratterizzazione aspettuale che colloca l’evento in un futuro prossimo, non è registrata nelle principali grammatiche tra le perifrasi imminenziali disponibili nella nostra lingua. Tra queste ultime la più diffusa risulta senza dubbio stare per + infinito, accanto alle minoritarie accingersi a + infinito, essere sul punto/in procinto di + infinito, fare per + infinito, ecc. In passato la natura imminente dell’azione poteva essere espressa anche dalla costruzione essere per + infinito (nel GDLI, s.v. piovere, leggiamo per es., dal Trecentonovelle di F. Sacchetti, “Par che sia per piover più forte”), che è però oggi forma letteraria ormai in disuso o propria delle parlate toscane; dall’espressione avere da + infinito, che assume valore insieme modale e di futuro (per es. “ho da fare i compiti”) e che è oggi di uso frequente in alcune varietà meridionali; o ancora dalla perifrasi andare a + infinito (“il rumore andava a divenir grande”, V. Cuoco, Platone in Italia), particolarmente diffusa nell’italiano sette-ottocentesco per influsso dell’equivalente costrutto francese aller a + infinito, e che godrà di una rinnovata fortuna nel corso dell’ultimo decennio del nostro secolo, soprattutto nell’ambito della lingua gastronomica (cfr. Andiamo a… servire la risposta!). Nessuna indicazione, invece, riguardante un possibile impiego di venire in perifrasi di tipo imminenziale: i grammatici si limitano a segnalare come il verbo, sempre per influsso del francese, tra Sette e Ottocento venga utilizzato all’interno del costrutto venire di/da + infinito, per indicare però non il futuro immediato, bensì al contrario il passato recente, ossia un’azione appena conclusa (vengo di dire ‘ho appena detto’); il costrutto scompare tuttavia rapidamente dall’uso, forse anche per effetto dell’aperta condanna dei grammatici puristi ottocenteschi.

 

Maggiori suggerimenti circa la possibile origine della nostra perifrasi ci vengono dalla lessicografia: diversi dizionari di italiano, tra cui il Vocabolario Treccani, il Sabatini-Coletti e il Devoto-Oli, segnalano infatti la possibilità di utilizzare il verbo venire con la preposizione a seguita da un infinito per esprimere, oltre al normale valore finale, che esplicita lo scopo per cui si compie il movimento (come in verrò a trovarti; ero venuto a prenderti), anche un valore fraseologico, che può indicare l’inizio di un fatto o di uno stato, o il raggiungimento di un certo risultato o di una data situazione (per es. in venni a sapere che lo zio era morto; si vennero a trovare in un grosso guaio; quanto viene a costare l’appartamento?mio padre è venuto a mancare). Tale uso, che secondo le indicazioni lessicografiche sembrerebbe circoscritto solo ad alcuni verbi, può però forse riconoscersi anche nella nostra perifrasi, che sottolinea l’imminente arrivo della pioggia e dunque il raggiungimento, il delinearsi di una determinata situazione, in questo caso relativa al tempo atmosferico. Da non dimenticare poi la tendenza comune alla maggior parte delle lingue romanze (e non solo) a ricorrere a verbi di movimento per formare strutture perifrastiche con significato imminenziale: si pensi per es. allo spagnolo ir a + infinito, al portoghese ir + infinito, al francese aller à + infinito, all’occitano anar + infinito, al romancio (ve)gnir a/da + infinito, al nostro andare a + infinito, di cui si è detto, ma anche all’inglese be going to + infinito. Tali costrutti risultano però formati nella quasi totalità dei casi con il verbo andare (e non con venire): il dato si spiega con il processo di slittamento semantico cui vengono sottoposti all’interno della costruzione i verbi di movimento, il cui significato non si riferisce più a un piano di direzionalità spaziale, bensì a uno di direzionalità temporale. Il verbo andare, che indica in senso proprio un movimento verso un luogo lontano dall’interlocutore o dal parlante, viene di conseguenza reinterpretato in senso temporale come un allontanamento rispetto a un punto ideale corrispondente al presente, e quindi come un’azione proiettata in un futuro prossimo; viceversa venire, che indica un movimento verso un luogo vicino all’interlocutore o al parlante, assume un significato temporale di avvicinamento al momento presente, con un’azione che risulta quindi collocata in un passato recente.

 

L’uso di venire all’interno della nostra perifrasi andrà allora spiegato non solo con la tendenza romanza a formare il futuro perifrastico con i verbi di movimento, ma anche con lo specifico valore deittico del verbo: se, di norma, l’espressione del futuro immediato viene resa, come abbiamo visto, attraverso il verbo andare, nel caso di venire a piovere l’imminenza della pioggia viene però presentata nella prospettiva dell’interlocutore e del parlante, che impiegherà dunque venire per sottolineare l’avvicinarsi, il sopraggiungere del fenomeno atmosferico.

 

Quanto alla caratterizzazione diatopica, la perifrasi non risulta fortemente marcata dal punto di vista dialettale, in quanto di uso non esclusivo e specifico di una singola area geografica, bensì esteso a differenti varietà regionali italiane: il costrutto, benché interpretato come meridionalismo da Ernesto Pranzetti, che a inizio ’900 lo segnala nel suo elenco di forme riconducibili all’influsso dialettale campano (Gli errori della lingua più comuni nei dialetti meridionali, Napoli, Casella, 1913), pare infatti diffuso non solo in quasi tutto il Sud Italia (con l’esclusione probabilmente del Salento, secondo quanto affermato in rete da alcuni utenti, intervenuti in forum amatoriali di argomento linguistico), ma anche in buona parte dell’Italia settentrionale: si prenda per es. el vègn a pióvar del trentino, ègner a pióer del bresciano, al vén a pióver del bolognese, o a vin a piovar del modenese; ma il costrutto è attestato anche in Piemonte, nelle altre zone della Lombardia e in Veneto. La perifrasi sembra invece sconosciuta nel Centro Italia, in cui si ricorre di preferenza al costrutto dell’italiano standard sta per piovere (come ci rivela l’osservazione della carta 366 dell’AIS, peraltro relativi a molti decenni fa). La nostra costruzione, che non sarà quindi riconducile all’influsso di un singolo dialetto, data la sua diffusione se non proprio panitaliana, comunque estesa a larga parte della penisola, è tuttavia da considerare più propria di un uso familiare e colloquiale ed è quindi per lo più evitata nella lingua scritta e in generale in registri più formali e sorvegliati. Del tutto sporadiche sono del resto anche le attestazioni del costrutto nella lingua dei giornali: una ricerca condotta nell’archivio online di “Repubblica”, circoscritta alle sole forme dell’infinito (venire a piovere), del presente (viene a piovere) e del passato prossimo (è venuto a piovere) ci rivela come la perifrasi ricorra appena una decina di volte in un arco temporale compreso tra il 1988 e il 2017, e quasi sempre all’interno del discorso riportato in forma diretta. Per es.:

 

Se tutto va bene, organizziamo una super iniziativa emergenziale per un solo giorno. Poi magari viene a piovere e ci facciamo ridere dietro. (“La Repubblica”, 9.12.2011)

 

In questa serata un lato positivo c’è: almeno non è venuto a piovere. (“La Repubblica”, 27.02.2016)

 

Concludendo, sarà forse preferibile limitare l’uso della perifrasi al solo parlato o a scritture di carattere informale, ricorrendo invece in tutti gli altri contesti alle costruzioni imminenziali dell’italiano standard.

 

 

Per approfondimenti:

  • Giovanna Brianti, Périphrases aspectuelles de l’italien. Le cas de andare, venire et stare + gérondif, Berne, Lang, 1992.
  • Massimo Palermo, Le perifrasi imminenziali in italiano antico, in SintAnt. La sintassi dell’italiano antico. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Università Roma Tre, 18-21 settembre 2002), a cura di M. Dardano, G. Frenguelli, Roma, Aracne, 2004, pp. 323-49.
  • Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi, Grande grammatica italiana di consultazione, vol. II, Bologna, Il Mulino, 1991.
  • Alberto Sobrero, Introduzione all’italiano contemporaneo, 2 voll., Roma-Bari, Laterza, 1993.
  • Mario Squartini, Verbal periphrases in Romance: aspect, actionality and grammaticaliation, Berlin-New York, Mouton de Gruyter, 1998.
  • Immacolata Tempesta, Il verbo nel repertorio dell’italiano: su alcuni usi del tempo e dell’aspetto, in Il verbo fra italiano, dialetto, lingua straniera, a cura di Immacolata Tempesta, M. Rosaria Buri, G. Tamburello, Lecce, Congedo, 2003, pp. 29-58.

 

A cura di Sara Giovine
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

12 gennaio 2018


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