Quell'odore particolare detto in Veneto freschìn

Il signor Ugo Cipolat dalla provincia di Treviso ci chiede quale possa essere in italiano il corrispondente del veneto odor de freschin per indicare "lo sgradevole odore che si sprigiona da stoviglie utilizzate per pesce e uova"; riproponiamo quanto Vera Gheno ha risposto sul n. 28 (aprile 2004) della nostra rivista La Crusca per voi ad altri utenti che in passato avevano posto lo stesso quesito.

Risposta

«Vania Giacomello, Flavio Cerpelloni, Roberto Cutrupia, Rudi Gobbo, Luca De Min e Luca Pertile chiedono informazioni sulla parola freschin.

Freschin, o freschino, è termine noto in quasi tutta l'Italia settentrionale. Il vocabolo è usato principalmente per indicare l'odore delle stoviglie mal lavate, soprattutto quando sono state a contatto con pesce o uova. Oltre a questo, le varie fonti attestano anche altri significati: è 'odore di pesce non fresco' e 'odore da canali quando l'acqua è bassa' nel Dizionario Etimologico Veneto-Italiano di D. Durante e G. F. Turato (Erredici 1975); "dicesi propriamente dell'odor del pesce crudo segnatamente, ed anche di quello della carne, che quando è vicina a putrefarsi acquista cattivo odore" secondo il Dizionario del dialetto veneziano di G. Boerio (1856); Manlio Cortelazzo, nel suo Parole Venete (Neri Pozza 1996), dedica una dettagliata analisi al termine e cita la descrizione che ne dà il dialettologo Erminio Girardi: "Il pesce può savère da freschìn quando non è più fresco, ma le mani odorano di freschìn, anche se hanno toccato pesce fresco. Le uova ne lasciano l'odore sugli oggetti o recipienti [...] anche se freschissimi. L'acqua, a volte, pur non avendolo in sé, trasferisce questo odore su bicchieri e stoviglie". Ancora, nell'uso comune la parola è impiegata anche per definire l'odore che talvolta possono avere le creme o, più in generale, le pietanze a base d'uovo fresco, come lo zabaione. Anche se la diffusione di freschin è abbastanza ampia, di norma il termine è ricondotto soprattutto ai dialetti veneti, nei quali, del resto, è conosciuto anche un proverbio che ingloba il concetto: Chi che nasse tacà a on fosso spuza senpre da freschin 'Chi nasce accanto a un fosso puzza sempre di freschino'.
Le ipotesi sull'origine del termine sono varie. Secondo il DEI, Dizionario Etimologico Italiano di C. Battisti e G. Alessio (Barbèra 1975), freschin va posto in correlazione con frescóne - termine usato nella Lucchesia per indicare il 'fieno non ben secco' - e con frescume, vocabolo di area emiliana, che significa 'odore di marcito, detto specialmente della carne', invitando, per l'etimologia, al confronto con il medio-francese freschin e l'alto-francese freschume. Nel Boerio si fa riferimento al verbo latino FRACESCO, -IS 'divenir rancido, infradiciarsi, puzzare' come possibile origine del vocabolo. Nel Durante-Turato si cita come origine il germanico frisk 'fresco', che è anche alla base della parola fresco nel suo senso canonico, panitaliano. Per quanto possa sembrare peculiare, la comune origine di fresco e di freschin è più che plausibile: freschìn, infatti, rientra in una serie di parole che si riferiscono soprattutto all'odorato, usate in origine con sfumatura ironica o anche eufemistica: in questo caso, si definisce fresco qualcosa che non lo è affatto. Della serie fanno parte (con la definizione di Durante-Turato) per es.: brusadìn o brusìn (saver da) 'sapere di bruciaticcio'; grassìn (odor de) 'odore di grasso che resta nelle pentole mal pulite'; salvadeghìn (saver da) 'puzzare di selvatico' ecc.
"Una delle preoccupazioni linguistiche sentite più acutamente dai Veneti è questa: come si dice in italiano freschìn", scrive Cortelazzo a pagina 267 del già citato Parole Venete. Alcuni dizionari azzardano rancido, che però non corrisponde perfettamente, o lézzo, che - come nota sempre Cortelazzo - indica genericamente 'fetore, grave puzzo' o mucido, che, stando ancora allo stesso autore, si dice piuttosto 'di cosa che, per essere stata in luogo umido, ha odore o sapore di muffa'. Per Durante-Turato, come pure per Cortelazzo, il termine è intraducibile. Certo, in altri dialetti d'Italia si incontrano vocaboli dal significato analogo o simile: per enumerare qualche esempio, a Roma è attestato, in tal senso, l'uso di freschetto o frescume, in zone della Liguria lo stesso odore sgradevole è chiamato renfrescümme; nella piana dell'Arno la puzza dei pavimenti lavati con stracci sporchi o ammuffiti è detta da taluni saper di fresco. Si può notare che la radice semantica di tutti termini citati è sempre la stessa. E anche se, per ora, una corrispondenza italiana non esiste, già la forma saper di fresco va nella direzione di un'italianizzazione del concetto potendo, eventualmente, divenire forma panitaliana.
La difficile corrispondenza fra un termine dialettale e la lingua nazionale non deve destare stupore: questa non è un'evenienza rara, anche quando si tratta di termini che un parlante nativo sente come "indispensabili". Per dirla secondo le parole di Cortelazzo: "Questa ricerca ossessiva di un equivalente [...] della parola dialettale in italiano è dovuta ad una deviante concezione del vocabolario, come lista unitaria e comune a tutte le lingue, mentre esse lo organizzano in maniera diversa a seconda di quello che nel Settecento era chiamato il loro «genio» e della loro contingente esperienza". Facendo un paragone tra lingue nazionali, "sono classici gli esempi", scrive lo stesso autore, "della ricchissima nomenclatura araba relativa ai cammelli o dei moltissimi modi di designare i vari tipi di neve in Groenlandia": in italiano, in quei campi, una tale ricchezza terminologica non esiste. Uno dei pregiudizi più comuni sul dialetto è proprio quello di considerarlo un mezzo di comunicazione intrinsecamente più povero della lingua nazionale, una sorta di "sottolingua" riservata alle situazioni comunicative informali. Al contrario i dialetti, formatisi direttamente dal latino in parallelo con l'italiano, hanno, in settori specifici, una nomenclatura talvolta più specializzata della lingua nazionale. Va ricordato, insieme con il sociolinguista Gaetano Berruto, che "fra lingue e dialetti non vi è alcuna differenza di natura; essi condividono in ugual misura le proprietà semiologiche costitutive e qualificanti di ogni sistema linguistico in quanto tale. Vi è invece differenza di raggio funzionale, sociale e comunicativo" (da Fondamenti di Sociolinguistica, 1995, Laterza, p. 224). Dunque, gli elementi che differenziano un dialetto da una lingua non sono linguistici, ma extralinguistici, in particolar modo sociali. È una questione di status. Citando ancora Berruto: "Con una formulazione banale ma efficace, si può in fondo dire che «una lingua è un dialetto che ha fatto carriera»" (p. 225).
La ricognizione in cerca di un termine italiano equivalente a freschin è dunque destinata a non avere pieno successo. Nel futuro potrebbe accadere che uno dei termini dialettali citati in precedenza finisca per prevalere sugli altri, colmando la "falla" funzionale dell'italiano. Del resto, già oggi molte persone conoscono il significato di freschin - o freschino, italianizzazione piuttosto comune nell'italiano regionale settentrionale - pur non appartenendo all'area linguistica di originaria diffusione della parola.»

Vera Gheno

15 gennaio 2010


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