Complemento d’agente o di causa efficiente?

Alcuni lettori chiedono maggiore chiarezza sul ruolo dell’agente nelle frasi passive. Le domande vertono prevalentemente sulla differenza tra i complementi d’agente e di causa efficiente e sulla necessità di delucidazioni in merito all’animatezza dell’agente. 

Risposta

 

Complemento d’agente o di causa efficiente?

 

Secondo un approccio classico all’analisi sintattica, in presenza di un verbo in forma passiva, il complemento d'agente indica colui che compie l'azione espressa dal verbo, ovvero il soggetto della frase attiva, l'agente. L’analisi logica distingue tra complemento d’agente e di causa efficiente. Si parla di complemento d’agente quando chi svolge l’azione è un’entità animata (persona o animale), es. La preda è stata inseguita dal lupo. In presenza di un’entità non animata (un oggetto, un fatto o un’entità astratta), si ha invece un complemento di causa efficiente, in quanto causa che produce l’effetto, es. La porta è stata aperta dal vento.

L’animatezza è dunque il parametro in base al quale si può distinguere il complemento d’agente da quello di causa efficiente. Si tratta di una nozione intuitiva e al contempo di difficile definizione, comunemente associata all’idea della vita in sé e quindi a concetti a essa relati quali il movimento, l’essere senziente, ecc. (Yakamoto, 1999). Per descrivere l’animatezza si assume una scala che si estende dall’umano passando per l’animale fino all’inanimato (oggetti e concetti astratti). Le gerarchie proposte per stabilire cosa può essere considerato animato e cosa rientra invece nella categoria inanimato, sono fortemente antropocentriche, nel senso che l’elemento con il maggior grado di animatezza è sempre l’essere umano. Seguendo la gerarchia di animatezza indicata da Croft (2003) troviamo: 

  

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Parole come lei, sorella, professore, gatto sono considerate tipicamente animate, infatti presentano referenti facilmente individuabili nella realtà e capaci di agire volontariamente. Eppure esistono entità che presentano una classificazione ambigua, poiché si trovano, nella nostra percezione della realtà, in una condizione che oscilla tra animato e non animato. Ne sono un esempio le piante. In frasi come L’ossigeno è prodotto dall’aloe durante la notte trattiamo la pianta (aloe) come un complemento d’agente o di causa efficiente?

Per quanto il concetto di animato di solito coincida con quello di essere vivente, la collocazione del regno vegetale nella categoria semantica dell’animatezza risulta controversa. Secondo Treccani i minerali e i vegetali apparterrebbero alla categoria inanimato, in quanto privi di vita animale. Il GRADIT invece non include le piante nella categoria inanimato, ma soltanto i minerali e tutto ciò che è privo di vita.

Le piante non sono le uniche entità di cui è difficile stabilire l'animatezza. Complicano ulteriormente il quadro quei nomi non umani di per sé, ma che indicano gruppi di uomini (governo, classe, partito, ecc.), nonché le parole che si riferiscono a oggetti tecnologici come computer, lettore ottico, ecc., che compiono azioni sebbene non siano entità animate.

Tendenzialmente, ciò che distingue un essere animato da un’entità non animata è la presenza di proprietà umane che, anche se non sono possedute da una certa entità, possono essere conferite da un dato contesto linguistico. Esistono infatti tipi di testi (es. favole, fiabe, poesie, ecc.) o di figure retoriche (es. metafore, metonimie, ecc.) che alterano le caratteristiche proprie di un’entità così come ne facciamo esperienza nella realtà.Si pensi ai fenomeni di personificazione in cui vengono attribuite facoltà umane a oggetti o concetti astratti che possono essere considerati quindi entità animate:

 

La prima canzone è stata cantata dalla teiera.

(La teiera nella fiaba La bella e la bestia è un oggetto che parla e agisce come un essere umano)

 

La Francia è stata sconfitta dall’Italia ai mondiali del 2006.

(Metonimia: l’Italia e la Francia in questo caso indicano le squadre di calcio delle rispettive nazioni);

 

Morte ebbe invidia al mio felice stato,

anzi a la speme; et feglisi a l’incontra

a mezza via come nemico armato.

(Nel sonetto di Francesco Petrarca, Tutta la mia fiorita et verde etade, Canzoniere, 315, la morte prova emozioni umane come l’invidia)

 

Se ne può concludere che, per stabilire l’animatezza di un lessema, è fondamentale osservare il contesto d’uso.

          

Distinguere tra complemento d’agente e di causa efficiente utilizzando l’animatezza non è sempre un’operazione facile. D’altronde, occorre ricordare che l’animatezza è un tratto semantico delle parole, può quindi risultare inadeguata all’analisi della struttura della frase. Effettivamente, l’analisi logica ricorre non di rado a strumenti semantici per l’analisi sintattica, la stessa classificazione dei complementi si basa su categorie concettuali generali come il tempo, lo spazio, lo scopo, ecc., ovvero sull’analisi del significato delle parole in un certo contesto frasale. In merito a tale questione, si rimanda all’articolo di F. Sabatini dal titolo "Che complemento è?" che affronta in modo esaustivo il problema della classificazione dei complementi.

Qualora si volesse provare a utilizzare una prospettiva di analisi diversa rispetto a quella proposta dalla grammatica tradizionale, sono stati suggeriti approcci alternativi. Uno di questi è il modello valenziale, elaborato dal linguista francese Lucien Tesnière (1959), che analizza le relazioni che il verbo intrattiene con gli altri elementi della frase. Secondo questo approccio, il verbodà struttura alla frase, suggerendo gli elementi indispensabili per costruire una frase di senso compiuto. Questa prospettiva può rappresentare una valida alternativa per lo studio della sintassi e, come molti insegnanti soprattutto di scuola primaria sperimentano da molti anni, permetterebbe di superare la necessità di distinguere tra complemento d’agente e di causa efficiente, e quindi di abituare a ragionare in termini sintattici a prescindere dalla possibilità di identificare univocamente l’animatezza dell’agente.

Se si volesse approfondire l’argomento, si suggerisce la lettura della scheda su Valenze e reggenze dei verbi a cura di Manuela Cainelli e Raffaella Setti, su questo stesso sito, o il testo di Cristiana De Santis Che cos’è la grammatica valenziale.

 

 

Per approfondimenti:

 

  • William Croft, Typology and Universals, 2nd ed., Cambridge, Cambridge University Press, 2003.
  • Cristiana De Santis, Che cos’è la grammatica valenziale, Roma, Carocci, 2017.
  • Lucien Tesnière, Eléments de syntaxe structurale, Paris, Klincksieck, 1959, (trad. italiana Torino, Rosenberg & Sellier, 2001).
  • Mutsumi Yamamoto, Animacy and reference: A cognitive approach to corpus linguistics, Vol. 46, Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins Publishing, 1999.

 

 

A cura di Veronica Boschi
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

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2 febbraio 2018


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