Il primo Vocabolario

Sempre intorno al 1590 l’attività dell’Accademia iniziò ad essere concentrata nella preparazione del Vocabolario. I criteri di scelta degli autori citati vennero stabiliti in vista del fine che i vocabolaristi si proponevano: mostrare e conservare la bellezza e l’utilità del fiorentino trecentesco. Le prime opere oggetto di spoglio furono la Divina Commedia di Dante, il Decameron di Boccaccio e il Canzoniere di Petrarca.

La maggior parte degli spogli interessò testi, non solo letterari, fiorentini del Trecento, ma non mancarono aperture verso autori successivi (tra i quali Lorenzo de’ Medici, Berni, Machiavelli, Salviati stesso) e verso autori non fiorentini (Bembo, Ariosto). Furono affrontate anche questioni di metodo, in particolar modo sul trattamento delle voci dell’uso, di cui non si trovassero attestazioni antiche, e sul problema dell’inserimento delle etimologie: per le prime si stabilì di allegare esempi tratti da autori moderni fino a Monsignor della Casa, per le etimologie venne data l’indicazione di considerare solo quelle “che abbiano gentilezza e sieno a proposito”; in tutti e due i casi si rimandava comunque al giudizio dei Deputati per il Vocabolario, una commissione di quattro accademici - Carlo Macinghi, Francesco Marinozzi, Piero Segni e Francesco Sanleolini - nominati nel 1597 proprio per affrettare e facilitare il lavoro di redazione del Vocabolario.

Anche nella compilazione furono seguiti gli stessi criteri, per cui gli scrittori fiorentini del Trecento vennero citati per primi, dove era possibile con un esempio di prosa e uno di poesia. Dei non fiorentini si scelsero le parole più belle e di matrice fiorentina, dei contemporanei le voci dell’uso.

Il Vocabolario degli Accademici della Crusca fu stampato a Venezia e uscì nel 1612, suscitando immediatamente grande interesse e altrettanto accese dispute riguardo ai criteri adottati; in particolare, a molti non piacque l’aperto fiorentinismo arcaizzante proposto dal Vocabolario, che comunque rappresentò per secoli, in un’Italia politicamente e linguisticamente divisa, il più prezioso e ricco tesoro della lingua comune, il più forte legame interno alla comunità italiana, quindi lo strumento indispensabile per tutti coloro che volevano scrivere in buon italiano.
Ebbe grande fortuna in tutta Europa e divenne modello di metodo lessicografico per le altre accademie europee nella redazione dei vocabolari delle rispettive lingue nazionali.

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